Soliloquio del dolore – 11

L’estate finalmente declina. Le temperature si abbassano, grandi nuvole grigie, minacciose attraversano il cielo e c’è odore di pioggia nell’aria. Questo momento dell’anno è sempre stato il più dolce per me, perché preludio dell’autunno, la stagione che amo di più, così simile al mio animo crepuscolare, ma, per la prima volta, non mi dà alcun piacere. Non c’è più niente che mi dia piacere ormai.
Sento l’odore della pioggia, trasportato dal vento, osservo il cielo nero all’orizzonte e ascolto i temporali, sempre più frequenti, ma qui non cade una goccia d’acqua da tre mesi. L’ultima volta che piovve fu lo scorso 6 giugno, il giorno in cui ci separammo alla stazione Termini. Una singolare casualità, perché io, che non ho lacrime, lascio sempre che sia il cielo a piangere per me, quando piove.
Io l’ho vista, come nessun altro prima. Era trasparente davanti ai miei occhi, così fragile, vulnerabile e al tempo stesso forte, così bambina e al tempo stesso donna, così riflessiva e al tempo stesso spensierata, così spaventata e al tempo stesso coraggiosa, così simile a me e al tempo stesso diversa da me, così dannatamente bella, sempre.
Lei mi ha legittimato e come persona ancor prima che come scrittore. Ora che non c’è più, ci sono momenti in cui il sentimento della mia insignificanza è così forte da sovrastarmi e abbattermi. Allora non posso fare altro che scivolare a terra, addossarmi alla parete e rimpicciolirmi quanto più possibile, le gambe piegate schiacciate sul petto, strette tra le braccia, la testa spezzata appoggiata sulle ginocchia. Sono una cosa così piccola, così leggera e insignificante, eppure grazie a Lei ho sentito dentro di me una forza e un’energia tali da sconvolgere il mondo intero. In questi momenti di massima prostrazione chiudo gli occhi con decisione, spremo le palpebre e mi costringo al buio. Tutto ciò che mi circonda svanisce e io precipito velocemente nel vuoto eterno come un peso inerte, incosciente. È sempre stato così, ma in Lei avevo trovato finalmente un appiglio e alla sua mano tesa, così piccola eppure forte, ostinata e creativa, mi ero aggrappato con tutto me stesso. Ho avuto la fortuna di stringerla davvero quella mano destra, di intrecciarla alla mia, fino a fonderla in una sola, di accarezzarla, di baciarla, seppur attraverso la mascherina, e non le sarò mai abbastanza grato per non averla ritratta, nonostante tutto.
Con Lei mi sentivo forte ed energico, ora sono debole e svuotato. Non ho mai sentito il mio corpo così fiacco, così stanco. Sembro uno schizzo di Schiele, spigoloso e contorto, usurato come una vecchia marionetta da buttare. Questa esperienza del e nel dolore è totale, cerebrale e fisica, come è sempre stato, mai però con una tale intensità. Il dolore mi brucia da tutti i lati. Sono giunto ai ferri corti con me stesso, con il mio corpo, con la vita, sostengo il peso del dolore, vivo la mia morte e permango, in una lotta estenuante che non concede tregua e non so per quanto tempo ancora riuscirò a resistere. Lei ha stravolto tutto, è stata un cataclisma ed è straziante pensare che ora, se leggesse queste pagine, non proverebbe altro che paura e un inutile senso di colpa.
Il mio corpo mi domanda che cosa voglia ancora da lui, perché non lo lasci dissolvere in pace. La mia voce mi chiede di gridare, di gridare con tutto il fiato fino ad esaurirsi completamente. Se non ci fossero i miei genitori a ricordarmi di mangiare, in questi mesi mi sarei lasciato morire di fame, senza rendermene conto. Il mio corpo non ha più bisogno di niente (di niente oltre alle sigarette, naturalmente) e io con lui. Non ci sono parole che possano spiegare quanto Lei sia stata importante nella mia vita e quanto bene mi abbia fatto nell’anno e mezzo in cui siamo stati in contatto.
Averla toccata nel profondo con i miei testi, fino a far vibrare le corde del suo spirito e del suo cuore, averle ispirato certe parole, certi pensieri, certe sensazioni è tutto per me. Grazie alla nostra corrispondenza Lei ha riscoperto la sua parte debole, introversa ed emotiva, letteraria e idealista, fino a quel momento repressa in un angolo buio e inaccessibile di se stessa, l’ha recuperata, accettata, integrata e, così facendo, si è perfezionata, diventando ancora più forte, coraggiosa, energica, ambiziosa. Nonostante il dolore causato dalla separazione, sono lieto di essermi messo in gioco, di aver resistito alla tentazione di interrompere il nostro carteggio, di aver accolto, per la prima volta nella mia vita, una parte tra il niente e il tutto, una sfumatura tra il bianco e il nero ed esserle rimasto vicino per tutto il tempo in cui ha avuto bisogno di me, della mia presenza, delle mie parole, del mio amore istintivo, elettivo per Lei, che non le ho mai nascosto, ma senza chiederle niente in cambio. Evidentemente non ha più bisogno di me ed è giusto che mi faccia da parte, che la lasci alla sua vita attiva, densa di impegni e di responsabilità. Dal buio della mia stanza, dalla prigionia del mio dolore la vedrò vivere, danzare, crescere la sua bambina e gioirò con Lei delle sue soddisfazioni, che saranno ancora molte, nonostante le naturali difficoltà.
Non smetterò mai di pensare a Lei, a noi, alla nostra storia. Per quanto possa essere doloroso e torturante, non smetterò di leggere le sue miracolose parole, rivelazioni di un’esistenza alternativa, luminosa e felice. Non smetterò di vederla, di parlarle e di ricordarle quanto sia bella e importante. Non smetterò di tenerle la mano, di domandarmi come sta, cosa fa, com’è andata la sua giornata, a cosa pensa, cosa sogna, a quali nuovi progetti lavora. Ci sono così tante cose di Lei che avrei voluto scoprire!
Nella sua vita ha costruito qualcosa di veramente importante, ha saputo ritagliarsi uno spazio significativo nel mondo, il suo spazio e io sono fiero di Lei. Mi dispiace tantissimo di non averla potuta sostenere concretamente, di averle potuto offrire solamente delle parole e di non aver mai fatto parte della sua quotidianità. Sarebbe stato bello viverla, sarebbe stato bello amarla ed essere amato da Lei, ma sono comunque lieto di essere stato almeno un inciso nella sua vita, di averla accompagnata almeno per un tratto di strada. Mi dimenticherà, forse ha già iniziato a farlo, e rimarrò solo a ricordare la nostra storia, ma le sue parole resteranno per sempre, memoria e monito.
Eppure una parte di me crede che noi un giorno ci ritroveremo, perché troppo a lungo ci siamo cercati, perché siamo stati troppo importanti l’uno per l’altra, perché il nostro legame è stato troppo forte e profondo, capace di nascere e di svilupparsi nonostante le circostanze, la distanza e gli esigui mezzi di comunicazione a disposizione – qualcosa che va al di là della volontà, della logica, delle parole e che fatico, incredibile ma vero, a definire casuale. Forse si tratta solamente di un’ultima, disperata e fragile illusione, che farei bene a cancellare. Invece di perdermi in simili fantasie, dovrei accettare l’idea che anche per Lei le parole sono soltanto parole, che il nostro rapporto non si è rivelato poi così profondo e importante come diceva, che il senso delle sue lettere si è esaurito nel momento stesso in cui le scriveva. Ma neanche questa idea, come neppure l’illusione, sia chiaro, arreca consolazione, cancella ciò che avrebbe potuto essere e non è stato, ciò che le circostanze non hanno permesso. Se non fosse stata legata a un altro uomo, ci saremmo incontrati subito, dopo poche lettere e magari il nostro amore – perché in ogni caso sarebbe stato amore – si sarebbe esaurito in fretta, nel giro di un’ora, e ci saremmo detti presto addio, ma almeno non avrei avuto rimpianti, quei rimpianti che ora mi torturano e aggravano il dolore, tanti piccoli pesi che sovraccaricano il macigno rendendolo sempre più difficile da sostenere. Nessuno scenario, positivo o negativo, ridimensionerà mai questa tragedia dell’impossibilità che è stata la mia storia con Lei.
In questo capitolo avrei voluto parlare dell’introversione, ma ormai è andata e, del resto, non ha alcuna importanza, perché di psicologia non ho che nozioni rudimentali e poi, nel mio caso, il pensiero viene prima di tutto. Tutti i miei tormenti, tutti i miei malesseri non scaturiscono da una condizione patologica, ma da una visione filosofica ed è molto più grave, credetemi, perché al pensiero non c’è cura oltre all’amore e alla morte.

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Informazioni su Simone Germini

Classe 1989, dopo il diploma di liceo scientifico mi iscrivo alla facoltà di Lettere presso l'Università degli Studi di Roma La Sapienza, dove mi laureo nel luglio del 2015 con la tesi «Figlie della crisi. I personaggi femminili di Heinrich von Kleist», pubblicata sulla rivista «Le rotte - Il porto di Toledo». Sempre presso lo stesso ateneo, nel settembre del 2017, conseguo la laurea magistrale in Filologia Moderna, con la tesi «Con le parole guerra alle parole. Linguaggio e scrittura in Carlo Michelstaedter». Dal 2012 al 2018 sono stato caporedattore del blog «Freemaninrealworld». Insieme con Lorenzo Pica, Raffaele Rogaia e Marco Zindato ho fondato il sito iMalpensanti.it. Sul blog «Bazzecole» i maldestri tentativi di scrittura creativa. Per info e contatti simonegermini@yahoo.com.

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