Memorie dal nulla – Seconda parte. La tentazione di vivere – IV

– Ci siamo incontrati troppo tardi, – dissi a Pietro la prima volta che parlammo di Veronica di persona, seduti a un tavolo nel solito locale di Nettuno, davanti a una birra ghiacciata. Era la fine di giugno e iniziava a fare caldo.
– Sono stato io a convincerla a scriverti. Voleva farlo da tempo, ma non riusciva a decidersi. Sai, Veronica è molto schiva, riservata, manifesta di rado i suoi sentimenti, ma, dopo aver terminato la lettura del tuo ultimo romanzo, si è avvicinata a me e mi ha abbracciato. Eravamo nello studio e non potendo abbracciare te, si accontentava di abbracciare me. Allora ho capito che doveva scriverti assolutamente. Sarebbe stato ingiusto e stupido non farlo.
Sorrisi fissando il vuoto e fui punto nel profondo dall’invidia. Pietro poteva vedere Veronica, parlare con lei, persino abbracciarla, mentre a me questa fortuna non era concessa. Ebbi la tentazione di dirglielo, ma se lo avessi fatto si sarebbe sentito in colpa, così tacqui.
– Forse sarebbe stato meglio se tu non l’avessi convinta, – dissi dopo qualche istante di silenzio, con amarezza, ma sorridendo, per non dare troppa importanza alle mie parole.
– Ti capisco, deve essere una situazione difficile, e me ne rendo conto anche da quello che mi dice Veronica, ma almeno sai con certezza che al mondo esiste una persona, almeno un’altra persona, oltre al sottoscritto, che apprezza il tuo lavoro e te, – tentò di rincuorarmi Pietro.
– Non è poco, lo ammetto, e la conoscenza di Veronica è l’unica soddisfazione che finora mi ha regalato la scrittura, ma saperla irraggiungibile mi rode nel profondo, mi consuma e rischia di contaminare tutto ciò che di bello mi sta donando, – confessai con fatica. Sì, era faticoso parlare di Veronica, molto più di quanto immaginassi: avevo paura di sgualcirla con le mie parole grossolane, di stropicciarla, come se avessi un fiore in mano.
– Sai, Giosuè, mi sorprende che vi sentiate ancora, mi sorprende e mi rende felice, perché significa che, finalmente, per la prima volta, hai concesso una deroga a te stesso e alle tue convinzioni, – disse Pietro con un sorriso completamente diverso dal mio, sincero e pieno, manifestazione esteriore della sua intima soddisfazione. Mi ha sempre voluto troppo bene questo gigante innocuo, molto più di quanto meriti.
– È vero, per la prima volta nella mia vita ho tradito me stesso e il mio pensiero, accontentandomi di una parte non potendo avere tutto, – ammisi abbassando lo sguardo, imbarazzato con me stesso.
– Finalmente, Giosuè, finalmente. In fondo non possiamo sapere cosa ci aspetta, cosa troveremo girando l’angolo e questa incertezza relativizza tutte le nostre convinzioni, le tue soprattutto. Prendi tutto ciò che di buono ti ha regalato e ti regalerà questa conoscenza, fanne tesoro. Non ti basterà, non può bastarti, d’accordo, ma è comunque meglio di niente.
– Le mail di Veronica hanno un valore inestimabile per me, reputo la sua esistenza qualcosa di molto vicino al miracolo ed è un vero privilegio per me essere in contatto con lei, godere almeno in parte della sua bellezza, ma le circostanze mi costringono a considerare il nostro rapporto come la prova ultima, definitiva, estrema dell’esattezza delle mie convinzioni e delle mie scelte. Non mi sono mai sentito così solo e disperato come in questo momento, dopo aver trovato finalmente la mia donna ideale, capace di apprezzarmi per quello che sono e per quello che scrivo. Veronica avrebbe potuto salvarmi, per lei avrei messo in discussione tutto, avrei lottato, avrei sostenuto il peso della vita, con coraggio e persino entusiasmo, ma Veronica è sposata e ha una figlia, – spiegai guardando Pietro dritto negli occhi.
– Mi dispiace, – sussurrò Pietro sinceramente rammaricato.
– A volte desidero con tutto me stesso di vederla, di parlare con lei di persona, di scoprire la sua voce, il suo sorriso, di abbracciarla, lo desidero con ardore, come ho desiderato pochissime altre cose nella mia vita, e faccio fatica a reprimere la tentazione di salire sul primo Frecciarossa diretto a Milano, ma, a mente fredda, se si presentasse la possibilità di incontrarla, rifiuterei, perché, in queste condizioni, un incontro non potrebbe togliere né aggiungere nulla al nostro rapporto.
– Purtroppo per te non potrai rifiutarti di incontrarla, perché l’ho invitata al mio matrimonio, – disse Pietro con una sottile vena d’ironia.
– Uhm… – mormorai in un soffocato moto di protesta, mandando giù l’ultimo sorso di birra.
Dopo aver accompagnato Pietro a casa me ne andai in spiaggia. La notizia mi aveva tolto il sonno e avevo bisogno di spazi ampi per riflettere. Nello spazio stretto, claustrofobico della mia camera i pensieri si sarebbero trasformati in incubi.
Dunque fra tre mesi, alla fine di settembre, avrei incontrato Veronica. Chissà perché, mentre giravo e rigiravo questo pensiero nella testa come un cubo di Rubik tra le mani, camminando sul bagnasciuga, ma senza vedere né sentire niente intorno a me, mi sovvennero alcune precise parole di Veronica, come se le leggessi per la prima volta in quell’istante: nonostante la consapevolezza della miseria del genere umano e dell’insensatezza della vita, se le avessero proposto di rinascere lei avrebbe risposto sì, e non una, ma mille volte sì; anche lei, come me, si domandava cosa sarebbe successo se ci fossimo incontrati in altre circostanze, come sarebbero cambiate le nostre vite.
Sedetti sugli scogli, a qualche metro di distanza da un paio di pescatori immobili e silenziosi. L’aria era immobile, ma fresca, il mare calmo, il cielo troppo pulito e puntellato di stelle. La luna, quasi piena, sembrava osservarmi e attendere. All’orizzonte risplendevano le luci delle paranze.
Dunque fra tre mesi avrei incontrato Veronica, Veronica che avrebbe risposto sì, e non una ma mille volte sì, se le avessero proposto di rinascere. Questa risposta affermativa la conteneva intera, la rappresentava meglio di mille parole. Veronica era tutta in questo sì, così come io ero tutto nel no che avrei risposto se mi avessero posto lo stesso quesito. Glielo avevo scritto, spiegandole che per me non esiste una sola gioia che possa giustificare, legittimare e riscattare tutte le innumerevoli sofferenze che siamo costretti a subire.
Anche Veronica si domandava cosa sarebbe successo se ci fossimo incontrati in circostanze diverse, come sarebbero cambiate le nostre vite, ma non mi aveva mai scritto cosa rispondeva a questa domanda. Perché? Cosa immaginava che sarebbe accaduto? Forse non riusciva a immaginare un futuro al mio fianco. Del resto, senza di me era riuscita a ottenere molto di ciò che desiderava e doveva amare molto suo marito, altrimenti non lo avrebbe mai sposato.
Una volta mi domandò cosa sognassi prima di sprofondare nel nulla e non avere più sogni (volgendo la domanda al passato dimostrava una sensibilità e un’empatia davvero straordinarie). Le risposi che sognavo di vivere dello studio, della scrittura e di passare la vita al suo fianco. Non scrissi, attenzione, «di passare la vita al fianco di una donna come te», ma «al tuo fianco», perché era lei la donna che avevo sempre sognato, lei e nessun’altra. Non volevo una risposta, non potevo e non dovevo volere una risposta, che infatti Veronica non mi diede, ma in quel momento, seduto sugli scogli nella notte limpida e fresca, mi rendevo conto, per la prima volta, di non avere elementi certi riguardo la sua considerazione nei miei confronti dal punto di vista, come dire? relazionale? affettivo? sentimentale? Ma si trattava di una considerazione sciocca e inutile, e me la presi con me stesso per essermi impelagato in simili riflessioni. Se anche Veronica mi avesse scritto: caro Giosuè, se ci fossimo incontrati in circostanze diverse ti avrei amato e non ti avrei lasciato per niente al mondo, cosa ci avrei guadagnato? Un altro motivo di dispiacere e niente di più, quindi meglio così, meglio non sapere.
Le mie considerazioni, in fondo, erano dovute solamente alla notizia comunicatami da Pietro, alla certezza che quel giorno, in quel luogo, a quell’ora avrei visto finalmente Veronica. Quella notizia mi aveva colpito nel profondo, altrimenti non avrei sentito il bisogno di passare del tempo solo in spiaggia, lasciando ai miei pensieri la possibilità di scorazzare liberi (voi portate i cani in spiaggia, io la mia mente quando qualcosa la scuote), ma sia in positivo che in negativo, entusiasmandomi e, al tempo stesso, amareggiandomi. Ero felice di incontrare Veronica, certo, sarei un ipocrita se dicessi il contrario, ma sapevo anche che, incontrandola, avrei fatto i conti fisicamente con il mio destino di solitudine, come mai prima.
Non so da quanto tempo mi trovassi lì, sugli scogli, accanto a quei pescatori immobili e muti come manichini, forse mezzora, forse un’ora. Forse mi ero persino assopito, la testa pesante poggiata sul pugno (l’assurdità della scultura di Rodin sta nel modo in cui poggia la testa sulla mano distesa, una posizione inconcepibile, oltre al fatto che un pensatore non avrà mai un fisico del genere), o forse no, fatto sta che la vidi, per la prima volta.
Passeggiavamo uno accanto all’altra, su quello stesso lembo di spiaggia tra Nettuno e Anzio, ma di giorno. Ci illuminava e riscaldava un tiepido sole primaverile ed eravamo soli, non c’era nessuno oltre noi due. Veronica indossava un lungo abito bianco, leggero, e aveva i piedi nudi. Di tanto in tanto mi voltavo e osservavo le sue impronte sulla sabbia: quelle impronte erano la prova inconfutabile della sua presenza al mio fianco. Le osservavo e sentivo questo. Avrei voluto stringerle la mano, lo desideravo con tutto me stesso, ma temevo di risultare inopportuno e di rovinare tutto. Alla fine mi decido e le prendo la mano. Il cuore mi batte all’impazzata, lo sento in gola, come se mi fossi buttato da un dirupo. Veronica mi guarda e sorride. Il suo sorriso mi parla e dice: finalmente! Il sole tramonta e noi continuiamo a camminare, nella luce tenue del crepuscolo, diretti chissà dove.
Un boato improvviso mi riportò alla realtà. Fuochi d’artificio scoppiavano alle mie spalle, ma non mi voltai. Preparai una sigaretta e la fumai con avidità, come se fosse la prima della giornata, pensando a ciò che avevo appena visto. Qual era la meta della nostra passeggiata sulla spiaggia? Quale poteva essere? Perché Veronica non mi aveva preso per mano, pur desiderandolo così tanto, come dimostrava il suo sguardo? Naturalmente non trovavo risposte a queste stupide domande e non sapevo neanche perché me le ponessi. Le scacciai via dalla mente con un gesto della mano, accontentandomi di essere riuscito finalmente a vedere Veronica. Terminata la sigaretta, tornai a casa. La certezza di incontrare Veronica tra appena tre mesi, alla fine di settembre, al matrimonio di Pietro, mi accompagnò nel sonno, strappandomi persino un sorriso.

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Informazioni su Simone Germini

Classe 1989, dopo il diploma di liceo scientifico mi iscrivo alla facoltà di Lettere presso l'Università degli Studi di Roma La Sapienza, dove mi laureo nel luglio del 2015 con la tesi «Figlie della crisi. I personaggi femminili di Heinrich von Kleist», pubblicata sulla rivista «Le rotte - Il porto di Toledo». Sempre presso lo stesso ateneo, nel settembre del 2017, conseguo la laurea magistrale in Filologia Moderna, con la tesi «Con le parole guerra alle parole. Linguaggio e scrittura in Carlo Michelstaedter». Dal 2012 al 2018 sono stato caporedattore del blog «Freemaninrealworld». Insieme con Lorenzo Pica, Raffaele Rogaia e Marco Zindato ho fondato il sito iMalpensanti.it. Sul blog «Bazzecole» i maldestri tentativi di scrittura creativa. Per info e contatti simonegermini@yahoo.com.

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