Memorie dal nulla – Seconda parte. La tentazione di vivere – I

Lo confesso, l’idea di scrivere ciò che sto per scrivere mi spaventa. Temo di non essere all’altezza degli eventi che sto per raccontare, neppure come autore, visto che non ne sono stato all’altezza come agente. Se la mia penna li sminuisse? Non potrei sopportarlo, ma devo provarci. Non lo devo tanto a me stesso, quanto a Lei. E poi, in fondo, è proprio a causa di questi eventi che ho versato già tanto inchiostro.
I miei timori sono fondati, come avete potuto constatare voi stessi leggendo le pagine precedenti. Una volta Lei mi scrisse che i miei personaggi femminili non sono mai positivi. Nelle mie intenzioni avrebbero dovuto esserlo. Evidentemente ho sbagliato qualcosa. Con lei non posso e non devo sbagliare: Veronica è una fonte di luce viva, abbacinante e purissima, che rischiara il mondo intero, rendendolo un posto migliore. Ormai sapete come sono fatto, sapete quello che ho dentro. Ebbene, Veronica è l’opposto. Io sono buio, odio, diffidenza, disperazione; lei è luce, amore, fiducia, speranza. Io sono la morte, lei la vita. Io sono lo Yin, lei lo Yang.
Pietro mi parlò per la prima volta di Veronica a Natale. Era la collega di lavoro con la quale aveva legato di più. In lei aveva trovato me, il suo migliore amico. Perché da cinque anni Pietro vive a Milano e non ci vediamo più di sei, sette volte all’anno.
– Quando parlo con lei mi sembra di parlare con te. Sei tu al femminile, davvero. Ama la letteratura e Dostoevskij è il suo scrittore preferito, parla dei tuoi stessi temi, con lo stesso ardore, utilizzando quasi le tue stesse parole. È profonda, sensibile, riservata, schiva, di poche parole. Come te, c’entra poco con questo mondo, con questo tempo. Ti assomiglia perfino fisicamente: è piccola e magrolina come te. Ha letto i tuoi articoli, i tuoi racconti e le sono piaciuti molto. Probabilmente non vi incontrerete mai e mi dispiace. Inoltre è sposata e ha una figlia.
Non restai indifferente a quelle parole. Mi fece piacere sapere che al mondo esisteva una persona simile, differente dalla moltitudine di cadaveri che infesta questa terra, estranea alla superficialità imperante, all’ignoranza dilagante, amante di Dostoevskij e persino mia lettrice. Sapere dell’esistenza di Veronica mi fece sentire meno solo, e subito lei assunse una consistenza fisica per me, materiale. D’accordo, non l’avrei mai vista, non l’avrei mai conosciuta, ma lei esisteva, era là, in una zona ben definita, in carne e ossa. Pietro la vedeva tutti i giorni, parlava con lei, di me, ed io, attraverso lui, avrei potuto sentirla meno distante se lo avessi voluto.
– Veronica ha colmato un vuoto, il vuoto della tua assenza, – aggiunse Pietro, in uno dei suoi caratteristici slanci d’affetto che tanto mi imbarazzano. Io non sarei mai capace di dirgli una cosa simile. La sua partenza, nonostante il nostro legame quasi fraterno, non ha prodotto nessun vuoto in me, nella mia vita, perché io vivo nel vuoto.
Nella mia solitudine feroce, nel mio destino di senz’amore (destino alla Leverkühn, ma senza aver ricevuto nulla in cambio dal diavolo, o forse proprio il nulla, comunque senza il mio consenso), ho sempre trovato rifugio e conforto in un pensiero: la mia donna ideale esiste, non so dove sia, non so come si chiami, non so quale aspetto abbia né che lavoro faccia, probabilmente non la incontrerò mai, ma lei esiste. Questo pensiero, basato più su un approssimativo calcolo delle probabilità che sulla speranza, mi ha soccorso in quei momenti particolarmente bui, quando la solitudine mostra il suo volto spaventoso, da fiera assetata di sangue, mi ha permesso di sfuggire a questa belva feroce, pronta ad avventarsi su di me e farmi a pezzi, è stata il mio Virgilio. Ora, non dico di aver identificato subito Veronica con la mia donna ideale, sarebbe una grossolana e spudorata menzogna, ma sapere dell’esistenza di una simile creatura ridimensionò in negativo, seppure di pochissimo, la mia disperazione. Non potevano esistere donne come lei? Ancora un approssimativo calcolo delle probabilità, privo di speranza, ma in un certo senso consolante.
In ogni caso, quella sera in cui Pietro, tra una sigaretta e l’altra, mi parlò di Veronica, tornato a casa, sotto le coperte, intirizzito dal freddo, pensai a lei addormentandomi e la certezza del risveglio mi sembrò meno catastrofica del solito.
Nella mia vita ho amato molte donne, ma senza essere ricambiato, mai. Spesso ho sentito dentro di me un amore così forte e profondo da rifare il mondo intero, ma tutte le donne alle quali ho donato questo amore incondizionato e potente, quasi mistico, mi hanno respinto. Evidentemente nessuna di loro ha saputo spingersi oltre il muro dell’apparenza, oltre la mia figura modesta, spingere lo sguardo oltre, in profondità. So benissimo di non avere niente di attraente, di essere poco più che uno scarabocchio, un ometto troppo piccolo, troppo magro, calvo troppo presto, di poche parole, cupo, introverso, schivo, selvatico, fondamentalmente ridicolo. Ho tentato di colmare queste lacune fisiche e caratteriali con un amore totale, con una devozione sconfinata nei confronti della creatura amata, innalzata a divinità, ma non è servito a niente. A ogni donna che per qualche misterioso motivo ha attirato la mia attenzione, ho tentato di mostrare la sua grandezza, ho tentato di renderla consapevole della sua grandezza. In cambio ho ricevuto forse pietà, forse commiserazione, forse affetto, ma amore mai. È ridicolo parlare di queste cose, ridicolo e umiliante, ma necessario perché possiate comprendere davvero l’impatto rivoluzionario di Veronica nella mia vita.
Io non credo nel destino o in simili sciocchezze, non credo che sulle nostre teste penda un disegno prestabilito al quale è possibile ricondurre tutte le nostre azioni, i fallimenti e i successi. Sarebbe consolante, lo ammetto, come lo sarebbe l’esistenza di Dio, un’illusione e una menzogna capace di rendere la vita meno misera, meno insensata, ma, lo sapete, nella mia condizione di vuoto mi è impossibile illudermi, mi è impossibile ricorrere al conforto della menzogna. Sono condannato a vedere le cose per quello che effettivamente sono e tutto ai miei occhi dalle palpebre recise è quello che è, niente di più. Così, non posso vedere un Dio, non posso vedere un destino dietro le nostre vite, i nostri eventi, i nostri fallimenti e i nostri successi, ma solo il caso, questa feroce, spietata, indomabile forza che ci tiranneggia dall’inizio alla fine, dal giorno in cui veniamo concepiti al giorno in cui tiriamo le cuoia. L’unica decisione vera che può prendere un uomo è rinchiudersi in casa e lasciarsi morire di fame. Solo in questa circostanza l’uomo può avere la meglio sul caso, imponendo la propria volontà su di esso. In tutte le altre circostanze restiamo in balia del caso, il nostro tiranno, non decidiamo niente, ma subiamo la sua tirannia.
Un uomo vuole uccidersi, afferra la pistola, se la punta sulla tempia, sente il contatto con il ferro gelido dell’arma, rabbrividisce un’ultima volta e poi preme il grilletto, ma la pistola s’inceppa. Un altro aspirante suicida afferra una corda, la fissa a una trave, sale sulla sedia, s’infila il cappio al collo, lo stringe e si lascia andare, ma la corda si spezza ed egli cade a terra. Solo l’uomo che smette di nutrirsi ha la certezza matematica di morire. Credo proprio che morirò così, gustando ogni singolo istante, cibandomi della libertà.
La volontà non esiste, il bene e il male non esistono, esiste solo il caso. Tuttavia, conoscendo Veronica ebbi il sospetto dell’esistenza di un’altra grandiosa e imperscrutabile forza, il destino. Al contrario del nostro povero Orfeo ladro di ceneri, io ho avuto la fortuna di incontrare la mia donna ideale, e quella sera in cui Pietro mi parlò di lei per la prima volta, non fu che il preludio di una storia, direi quasi di un mito, che non avrei mai immaginato di vivere, neppure nelle mie fantasie più incredibili. Dalle parole di Pietro compresi subito la grandezza di Veronica, la sua straordinarietà mi fu subito chiara, ma come potevo pensare di esserne travolto?
Veronica, è vero, mi accompagnò nel sonno quella notte, ma già il giorno dopo svanì nel nulla. Fu solo un istante di luce nella mia notte permanente, ma non poteva essere solo questo, doveva diventare molto di più, una storia, un mito, che se non conferisce senso alla mia vita, la rende meno misera, meno ordinaria e insignificante. Grazie a Veronica, alla sua apparizione miracolosa, posso dire di aver vissuto qualcosa di importante, persino di necessario per me stesso, che mi ha dato la certezza di non poter sfuggire al nulla. Se non è riuscita neanche lei a trarmi in salvo, vuol dire che non c’era salvezza per me, che il nulla è il mio destino.
Ma sto andando oltre. C’è molto, moltissimo tra il principio e la fine, persino troppo.

Memorie dal nulla , , , , , , , , ,

Informazioni su Simone Germini

Classe 1989, dopo il diploma di liceo scientifico mi iscrivo alla facoltà di Lettere presso l'Università degli Studi di Roma La Sapienza, dove mi laureo nel luglio del 2015 con la tesi «Figlie della crisi. I personaggi femminili di Heinrich von Kleist», pubblicata sulla rivista «Le rotte - Il porto di Toledo». Sempre presso lo stesso ateneo, nel settembre del 2017, conseguo la laurea magistrale in Filologia Moderna, con la tesi «Con le parole guerra alle parole. Linguaggio e scrittura in Carlo Michelstaedter». Dal 2012 al 2018 sono stato caporedattore del blog «Freemaninrealworld». Insieme con Lorenzo Pica, Raffaele Rogaia e Marco Zindato ho fondato il sito iMalpensanti.it. Sul blog «Bazzecole» i maldestri tentativi di scrittura creativa. Per info e contatti simonegermini@yahoo.com.

Precedente Memorie dal nulla - Prima parte. Il nulla - X Successivo Memorie dal nulla - Seconda parte. La tentazione di vivere - II