Memorie dal nulla – Prima parte. Il nulla – IV

La vita si riduce a una scelta tra il dolore e il nulla. Non esistono alternative. Per quanto possiate illudervi del contrario, tutte le vostre decisioni, tutte le vostre azioni, sgrossate del superfluo, si riducono a questi due estremi. Tertium non datur.
Io ho scelto il nulla. O forse non ho scelto proprio niente, forse il nulla è il mio destino, come potrebbe testimoniare il primo ricordo di cui ho memoria.
All’asilo, ogni mattina, prima della ricreazione, le suore ci portavano nella cappella della scuola, a pregare. Nella penombra fresca dell’oratorio alcuni miei compagni pregavano davvero, altri ridevano e scherzavano, sottovoce, a gesti, contorcendosi sulle lunghe panche di legno, sempre lucide. Io osservavo. Osservavo Cristo crocifisso per l’intero quarto d’ora, incapace di volgere altrove lo sguardo. Quel corpo martoriato mi attirava come una calamita e lo percorrevo dall’alto in basso, guidato dal sangue, reso accecante dal biancore innaturale della pelle: dal sangue che sgorgava copioso dalle mani inchiodate nel legno e che colava lungo le braccia distese, passavo a quello che rigava il volto esausto e si perdeva nella barba folta, quindi scendevo alla ferita nel costato, il cui sangue macchiava l’addome, sporcava e sorpassava il panno bianco stretto alla vita, continuando sulle cosce, infine giungevo ai piedi inchiodati (un chiodo per piede, secondo il modello medievale della crocifissione), ultime fonti di sangue, sangue che si perdeva nel nulla, inghiottito dal pavimento. Giunto in basso, risalivo con lo sguardo verso l’alto, dai piedi alle mani, e poi, di nuovo, dall’alto verso il basso, dalle mani ai piedi. Così per tutti i quindici minuti dedicati alla preghiera. Tornati finalmente alla luce del sole, i miei compagni iniziavano a scorazzare liberi come puledri nella piccola pineta alle spalle dell’edificio scolastico, inseguendosi, acchiappandosi, nascondendosi dietro gli alberi. Io procedevo lentamente, immerso nella riflessione. Li raggiungevo dopo diversi minuti, quando erano già tutti accaldati e ansimati. La mia freschezza conferiva nuovo slancio al gioco.
Il fatto è che in quell’immagine, in quell’uomo crocifisso non vedevo niente di miracoloso, niente di divino, ma solo dolore, frutto di una violenza brutale. Sì, il Cristo crocifisso della Casa del Sole (si chiama così la scuola) è la prima manifestazione di dolore e di violenza nella quale mi sono imbattuto in vita mia. Mi dicevano che Gesù era il figlio di Dio e che, in quanto tale, aveva compiuto tutta una serie di miracoli, come trasformare l’acqua in vino e resuscitare i morti, ma Dio, suo padre, nostro padre, come aveva potuto permettere che si facesse così tanto male a suo figlio, che lo si appendesse con dei chiodi (quei chiodi enormi conficcati nella carne e inzuppati di sangue erano per me una vera ossessione) a due pezzi di legno? Ponendomi allora questa domanda, ora lo comprendo, mi ribellavo a tanto dolore e a tanta violenza. Allora era inconcepibile per me che si torturasse un uomo in quel modo. Era proprio questo il punto: la tortura, la sofferenza prolungata, reiterata, non la morte, di cui l’uomo, come ogni altro animale, ha da subito una percezione istintiva. Ogni giorno io stesso, nella mia cameretta, trucidavo decine e decine di soldatini, ma nella mia fantasia perdevano la vita in un istante, per un colpo di fucile oppure allo scoppio di una bomba. Quando davo la caccia alle lucertole, prima le uccidevo, con un colpo secco, e poi le vivisezionavo, ma non le torturavo, come invece facevano molti dei miei compagni di scuola.
Proprio non riuscivo a capacitarmi di tanto dolore e di tanta violenza reiterata ad arte, ci pensavo in continuazione, domandandomi inoltre perché questi pensieri riguardassero solo me. Perché i miei compagni restavano indifferenti dinanzi a quell’immagine così terribile? Forse loro avevano compreso qualcosa che a me era sfuggito (quelli che pregavano), oppure loro in quel Cristo crocifisso non vedevano altro che una brutta immagine alla quale non c’era motivo di pensare (quelli che ridevano e scherzavano). Naturalmente non sapevo trovare delle risposte certe e soddisfacenti.
Un giorno, dopo il quarto d’ora di preghiera, al culmine dell’incertezza e dell’angoscia, mi avvicinai a suor Teresa e le domandai il perché di tanto dolore e di tanta violenza, come fosse possibile che Dio avesse permesso di trattare suo figlio in quel modo disumano (allora lo giudicavo così).
– Ma, Giosuè, non ricordi? Gesù risorge, – mi rispose suor Teresa, sgranando gli occhi piccoli, annacquati di sonno per la mia clamorosa dimenticanza, e scuotendo il capo grigio.
Non era questo il punto! Anche ammettendo il miracolo della resurrezione, questo non giustificava, non poteva giustificare una violenza così feroce, anzi, semmai la rendeva ancora più grave. Ma non contraddissi suor Teresa, perché sapevo che non sarebbe servito a niente. Sapevo che i miei dubbi, se li avessi esposti, avrebbero causato solamente ulteriori fastidi, e così li tenni per me, perdendo di fatto ogni fiducia in un aiuto esterno.
– Mi scusi, suor Teresa, me ne ero dimenticato, – risposi senza troppa convinzione, raggiungendo subito i miei compagni per non destare sospetti.
Ero così ossessionato dall’immagine di Cristo crocifisso, che arrivai persino a sognarlo.
Mi sta davanti e leva il capo. Mi guarda, dritto negli occhi, con un’espressione non tanto di dolore, quanto di tristezza, ma una tristezza infinita. Mi guarda a lungo, implorandomi in silenzio, con il solo sguardo, che sostengo a fatica.
– Aiutami, ti prego… – sussurra finalmente, a bassissima voce. Riesco a comprendere le sue parole, la preghiera di Cristo a un bambino di sei anni, solamente perché attorno a noi regna un silenzio assoluto, irreale. Il semplice ronzio di una mosca mi avrebbe impedito di afferrare il significato di quel sussurro straziante, ma siamo fuori del tempo e dello spazio, sospesi in un nulla cosmico.
Dopo aver parlato, gli occhi di Cristo si inondano di lacrime, lacrime che sgorgano copiose e colano giù, giù, lungo il viso, lungo il collo, sul petto, sul costato, mescolandosi al sangue, ripulendolo. Vorrei aiutarlo a scendere dalla croce, lo vorrei con tutto me stesso, più di ogni altra cosa, ma non so come fare. Si trova troppo in alto e poi come potrei sfilare quei chiodi enormi? Come? Ho paura di fargli male. Mi guardo attorno, in cerca d’aiuto, ma non c’è nessuno oltre noi due ed è buio pesto attorno a noi.
– Non so come fare, – dico a Gesù, disperato.
Un nodo mi stringe la gola e sento gli occhi riempirsi di lacrime. Vorrei piangere, ma provo con tutte le forze a resistere. Finalmente mi sveglio.
È il primo sogno di cui ho memoria. Non molto tempo dopo, mi capitò di ascoltare il Vangelo di Matteo, e il passo in cui Cristo, sulla croce, grida «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?», mi colpì nel profondo. La disperazione di Cristo documentata da un testo ufficiale, da un testo sacro mi recise definitivamente le palpebre: accettare il mondo creato da un Dio che permette agli uomini di torturare suo figlio, di flagellarlo, di inchiodarlo a una croce con una corona di spine sulla testa, di trafiggerlo con una lancia nel costato, di lasciarlo cuocere lentamente sotto il sole rovente di Gerusalemme, per ore e ore, significava accettare un mondo dominato dal dolore, dalla crudeltà, dalla violenza, e io non volevo. Ad appena sei anni, avevo già scelto il nulla.

Memorie dal nulla , , , , , ,

Informazioni su Simone Germini

Classe 1989, dopo il diploma di liceo scientifico mi iscrivo alla facoltà di Lettere presso l'Università degli Studi di Roma La Sapienza, dove mi laureo nel luglio del 2015 con la tesi «Figlie della crisi. I personaggi femminili di Heinrich von Kleist», pubblicata sulla rivista «Le rotte - Il porto di Toledo». Sempre presso lo stesso ateneo, nel settembre del 2017, conseguo la laurea magistrale in Filologia Moderna, con la tesi «Con le parole guerra alle parole. Linguaggio e scrittura in Carlo Michelstaedter». Dal 2012 al 2018 sono stato caporedattore del blog «Freemaninrealworld». Insieme con Lorenzo Pica, Raffaele Rogaia e Marco Zindato ho fondato il sito iMalpensanti.it. Sul blog «Bazzecole» i maldestri tentativi di scrittura creativa. Per info e contatti simonegermini@yahoo.com.

Precedente Memorie dal nulla - Prima parte. Il nulla - III Successivo Memorie dal nulla - Prima parte. Il nulla - V