L’incubo

Mi trovo dinanzi un gigantesco padiglione completamente bianco. Sull’ampio ingresso una grande scritta a led color viola: letteratura italiana. Entro, e mi ritrovo in una immensa sala, popolata da una moltitudine di persone impegnate a leggere. Innumerevoli individui siedono sparsi, senza un ordine apparente, e tengono in mano libri dalla copertina bianca, vuota, senza il nome dell’autore né il titolo dell’opera. L’interno dell’edificio è speculare a come esso appare fuori. Il pavimento, le pareti ed il soffitto sono bianchi, privi di decorazioni. Inoltre non ci sono finestre. È la luce che penetra dall’ingresso ad illuminare il vasto ambiente. Nessuno si è accorto di me, sono tutti assorti nelle loro letture. Anch’io ho un libro in mano, la Comedìa di Dante, che, a differenza dei testi degli altri presenti, ha una vera e propria copertina – un’illustrazione dell’opera stessa -, con sopra il nome dell’autore ed il titolo. Mi accomodo nell’unica sedia libera ed apro a caso il capolavoro dantesco. In pochi istanti vengo assorbito dalla lettura, improvvisamente e bruscamente interrotta dal suono squillante di una sirena. È un segnale, che dura due, tre secondi, e al termine del quale tutti i presenti smettono di leggere ed iniziano a parlare tra di loro. Sembrano condividere le esperienze letterarie.
Mi rivolge la parola un uomo di mezza età, dai capelli grigi, folti e mossi. «Ah, ben pochi autori, al giorno d’oggi, sanno scrivere come Baricco…».
Sbalordito ed infastidito dall’affermazione, ma comunque sorridente, chiedo spiegazioni. «Lei non trova? Baricco è uno scrittore straordinario ed inoltre un intellettuale brillante ed illustre. La sua recente candidatura come Ministro dei beni culturali significa molto».
Osservo l’esemplare baricchiano, che, peraltro, mi ricorda fisicamente moltissimo Baricco stesso, con ostilità, senza più sorridere. Quando sta per parlarmi della «geniale abilità narrativa del maestro», suona di nuovo, per fortuna, la sirena. Tutti tornano al loro posto e riprendono la lettura. Io no, mi fermo a riflettere sul colloquio appena avuto. È incredibile come tra la moltitudine di lettori presenti, mi sia dovuto imbattere probabilmente nell’unico a cui piace Baricco. All’ingresso del padiglione c’è scritto a caratteri cubitali letteratura italiana. Come hanno potuto far entrare in un simile spazio un testo di Baricco? E poi, come si può leggere Baricco quando non basta un’intera vita per leggere tutti i Classici? Domande che rivolgo a me stesso senza riuscire a trovare risposte convincenti.
Proprio mentre sto per riaprire la Comedìa, e cercare conforto negli immortali versi danteschi, ecco che suona di nuovo la sirena. Mi guardo intorno, e vengo raggiunto da una donna di circa trent’anni.
«La disturbo?», mi chiede. Le rispondo di no, con quella mia consueta affabilità impacciata quando ho a che fare con il gentilsesso.
«Cosa legge?».
«La Comedìa del Sommo Poeta».
La donna è interdetta, perde a poco a poco quel sorriso smagliante con il quale si era presentata.
«Anch’io ho letto una commedia, la Divina Commedia di Dante, ma tanto tempo fa, a scuola, e neanche tutta, solo alcune cantiche».
Mi cadono le braccia. Sprofondo poi quando mi dice: «Ma ora leggo Carofiglio».
Fortunatamente la sirena suona presto. Mi risiedo preda di un’improvvisa spossatezza. Sono preoccupato, molto preoccupato. E se anche il prossimo lettore mi parlerà di un simile autore? Ma all’ingresso non c’era scritto letteratura italiana?
Riecco la sirena. Stavolta sono io a muovermi. Mi dirigo verso un uomo piuttosto in là con gli anni, vestito distintamente. Utilizzo un criterio di selezione fisico-estetico, non potendomi basare su altro. Ahimè, il signore legge De Cataldo. Mi decanta la straordinarietà dei vari personaggi del famigerato Romanzo criminale, frutto di «un attento e profondo, nonché raffinato, studio psicologico relativo alle menti criminali». Perdo le staffe e gli rispondo con un tono di voce alto ed aggressivo: «Ma cosa diavolo dice? Se questi quattro criminali da strapazzo sono personaggi letterari “straordinari”, come lei li ha definiti pochi istanti fa, allora i vari Virgilio, Beatrice, Renzo, Lucia e Jacopo Ortis come li definisce? Impari a pesare le parole, e a giudicare le cose per quel che davvero sono».
L’uomo si è offeso, mi volta le spalle e se ne va indignato. Inoltre le mie grida hanno attirato l’attenzione di tutti i presenti, che mi scrutano meravigliati e contrariati, quasi disgustati. Almeno fino a quando suona la sirena e si rigettano a capofitto nella lettura. Resto in piedi, con le spalle appoggiate alla parete. In mano la Comedìa, che non apro più. Lo sguardo perso nel vuoto. La mia permanenza in quel luogo diviene un’atroce agonia. I segnali si susseguono, e con essi le persone che mi si avvicinano e condividono le loro esperienze “letterarie”. Dopo Baricco, Carofiglio e De cataldo, è la volta di Ammaniti, Benni, Brizzi, Mazzantini e compagnia bella. Non mi oppongo più alle parole di questi individui insignificanti, attendo solamente la fine di questo supplizio così crudele.
All’improvviso mi folgora un pensiero, a causa del quale tremo. Forse sono morto e giaccio all’Inferno. Forse questa è la mia pena eterna. Forse su di me si è abbattuta l’inesorabile legge del contrappasso. Io, amante dei Classici, lettore accademico, condannato per sempre a convivere con individui amanti di autori sospinti dal mercato e privi di qualunque valore letterario. È incredibile. Incredibile e tremendo. Non solo il buon dio cristiano deve esistere davvero, ma deve anche conoscermi bene ed essere particolarmente sadico. Sono ammirato da una giustizia divina così raffinata.
Tuttavia, non riesco proprio a convincermi dell’esistenza di un al di là, e provo a fuggire dall’orribile, orripilante, turpe prigione. Mi dirigo verso l’ampia uscita. Una giovane donna però attira la mia attenzione. Mi sembra di conoscerla. Ma sì, è Beatrice! Frequentiamo lo stesso corso di laurea in Lettere. Siamo buoni amici. A dire la verità, nei suoi confronti provo un certo impulso amoroso. Sono felice di ritrovarla in questo luogo infernale. È una persona estremamente intelligente, con una vasta e profonda cultura letteraria. Condividiamo la stessa, sanguinosa passione per i Classici.
Di nuovo sorridente, la ammiro immersa nella lettura. Anche il suo libro è bianco, senza copertina, ma non ho dubbi che si tratti di un capolavoro del passato. In piedi, al centro della sala, con la Comedìa sempre in mano, attendo il segnale. Suona la sirena e mi catapulto da lei. Mi accoglie con uno splendido sorriso luminoso, che mi rincuora. Mi rivolgo a lei in modo concitato, a causa della surreale situazione in cui mi trovo.
«Cara Beatrice, neppure immagini che gioia nel vederti qui. Sono forse morto?». Lei reagisce al mio singolare quesito con una squillante risata.
«Non direi. Siamo tutti vivi qui. Cosa ti fa pensare di essere morto?». Sto per iniziare a raccontarle le mie disavventure con i lettori presenti nel gigantesco padiglione, quando Beatrice mi domanda quale libro tengo in mano.
«La Comedìa», rispondo.
«Siamo nel 2015 e tu leggi ancora la Divina Commedia?». Credo che si tratti di uno scherzo, sorrido, ma il tono asciutto, serio con il quale ha pronunciato la frase mi gela.
Guardo Beatrice negli occhi e le domando: «Perché, tu cosa leggi?».
Dalla sua graziosa bocca fuoriesce distorto, ma comprensibilissimo, un nome che mi schiaccia come un macigno: «Fabio Volo». E aggiunge: «Guarda che non scherzo».
Suona la sirena e Beatrice si accomoda, riprendendo la lettura. Sono disperato. Riesco appena a sussurrare: «Anche tu…».
Mi sforzo di raccogliere le energie necessarie a fuggire da quel maledetto luogo. Mi incammino verso l’uscita a passo svelto, ma ecco che iniziano ad apparirmi i ridenti faccioni degli autori tanto odiati. Si susseguono uno dopo l’altro urlandomi in faccia citazioni dei loro libri. Il primo ad apparirmi è Baricco: «La musica è l’armonia dell’anima! I desideri stavano strappandomi l’anima. Potevo viverli, ma non ci sono riuscito. Allora li ho incantati! Scrivere è una forma sofisticata di silenzio! Non è neanche detto che se ami davvero qualcuno, ma tanto, la cosa migliore che puoi farci insieme sia vivere!». Mi tappo le orecchie, chiudo gli occhi e scuoto la testa, ma gli autori continuano ad apparirmi, incessantemente, ad aggredirmi.
Dopo Baricco tocca a Carofiglio: «L’amore è inventare l’altro con tutta la nostra fantasia e con tutte le nostre forze, senza cedere di un millimetro alla realtà! In quei momenti pensi che il tuo amore non esiste, perché non c’è nessuno dall’altra parte a riceverlo! Vorrei rivivere quel pomeriggio perché quella è stata una delle poche volte della mia vita in cui sono stato perfettamente felice, e me ne sono accorto mentre succedeva!». E poi De cataldo: «I finocchi sono fragili banderuole in preda alla passione. Tutti i finocchi prima o poi finiscono per commettere un errore più o meno irreparabile! Le lacrime del guerriero feriscono le stelle e ritornano sotto forma di stille di sangue!». Ammaniti: «Solo chi ha paura muore facendo stronzate come camminare su un ponte. Se a te di morire non te ne frega niente puoi stare tranquillo che non cadi. La morte se la piglia con i paurosi! Da piccolo sognavo sempre i mostri. E ancora ora, da adulto, ogni tanto, mi capita, ma non riesco più a fregarli! Mi sento come un albatros portato dalle correnti. Da correnti positive che controllo con un battito d’ala! E la cosa tremenda è che più lei è stronza, e più lui l’ama!». Benni: «Solo il dolore insegna cos’è la vita senza il dolore! Se i tempi non chiedono la tua parte migliore inventa altri tempi! La vita è come l’anticamera di un dentista. C’è sempre uno che sta peggio di te! La lampadina della mia camera d’albergo si è fulminata, o forse si è uccisa! Ci vuole un gran fisico per correre dietro ai sogni! Dentro un raggio di sole che entra dalla finestra, talvolta vediamo la vita nell’aria. E la chiamiamo polvere! Se incontri un angelo, non avrai pace ma febbre! Solo i pesci morti vanno con la corrente! La vita è una merda, ma se ci tieni a qualcosa, non devi mollare! Bisogna assomigliare alle parole che si dicono. Forse non parola per parola, ma insomma ci siamo capiti!». Brizzi: «Bisogna avere molta cautela, con chi è felice! Nessun posto è lontano. Se desiderate essere accanto a qualcuno che amate forse non ci siete già?! E lui non aveva mai amato così tanto, poiché si ama davvero forse solo nel ricordo! Stavo pensando che la civiltà è tutta una sfida fra l’uomo e la natura! Il passo più lungo del viaggio è quello per uscire di casa!». Mazzantini: «Ma ogni vera gioia ha una paura dentro! Non ha senso andare nella direzione opposta al tuo stato d’animo! Chi ti ama c’è sempre, c’è prima di te, prima di conoscerti! Gli occhi dietro alle lacrime come due pesciolini in un mare troppo stretto! Gli amori che sembrano assurdi certe volte sono i migliori! Basterà un filo bianco dell’aurora a separarci dalla notte?!».
Mi appaiono innumerevoli altri scrittori, ed infine, Volo: « È impossibile rinunciare alla felicità, si può solo se non la si è mai conosciuta! Ogni ricordo sarà come la parola di un racconto! Fare veramente pace con qualcuno con cui hai litigato è una cosa potentissima! Lei è il paese dove voglio vivere! Michela da troppo tempo indossava la mia curiosità! Potresti essere la mia perdita di equilibrio. L’equazione del mio caos! Comunque la felicità non è che sia fare sempre quello che si vuole, semmai è volere sempre quello che si fa! Innamorarsi è una droga, amare è una medicina! Non stai vivendo se non sai di vivere! Il problema non è quanto aspetti, ma chi aspetti! Darei la vita per non morire! Ciò che dai è tuo per sempre! Il cammino si fa da soli: in 2 è una scampagnata! Le cose non si vedono per ciò che sono ma per ciò che sei! Ogni muro è una porta! Ero talmente felice che per esserlo di più avrei dovuto essere due persone! A gambe strette ho sempre l’impressione di cacare fettuccine!».
Annientato dai volti e dalle parole banali ed incomprensibili di questi demoni, li considero tali in quanto oramai del tutto convinto di esser morto e di trovarmi all’Inferno, trovo almeno la forza di gridare. Dalla mia bocca fuoriesce un grido spaventoso, in seguito al quale terminano le funeste visioni, non prima però di una raffica rapidissima e pungente di fotogrammi con l’esimio Germano che interpreta Leopardi.
Respiro a stento, madido di sudore. Getto uno sguardo verso l’uscita ed inizio a correre in quella direzione, stanco ma ostinato, quantomeno a provare, a fuggire dal regno infernale. Stringo forte la Comedìa, è la mia unica arma di difesa, in un certo senso, il mio salvacondotto, almeno credo.
Corro, corro veloce, come un ossesso, ma mi schianto in continuazione contro bambini impiccati ed enormi dita medie, inciampo in continuazione su papi abbattuti da meteoriti. No! Anche Cattelan no! Ma non demordo, non posso demordere. L’uscita però sembra allontanarsi ad ogni passo.
Una musica mi pentra nelle orecchie causando un dolore lancinante, insopportabile ai timpani. Dopo qualche secondo di atroce, indicibile sofferenza riconosco le note. Sono le terribili note di Allevi! Sì, proprio quel geniale Allevi secondo cui Beethoven non ha ritmo, ma Jovanotti sì!
È la fine. Mi inginocchio arrendendomi all’eterno supplizio. Punito da tutto quel che più odio. Da “scrittori” letterariamente miseri, insignificanti, quando in vita non ho amato che i Classici. Da un “artista” ignobile, quando in vita non ho ammirato che opere di Michelangelo, Bernini, Raffaello. Da un “compositore” dozzinale, quando in vita non ho ascoltato che note di Vivaldi, Bellini, Verdi.
Getto uno sguardo alla Comedìa, la mia unica consolazione. Ah, è svanita! Ora stringo anch’io tra le mani un libro completamente bianco. Non ho il coraggio di aprirlo. Chiudo gli occhi rassegnato, annichilito. Li riapro, e lo scenario è mutato. Mi trovo nella mia camera. È già mattino. Resto ancora qualche minuto a letto, osservando il soffitto, grazie al cielo verde sbiadito e non bianco.
«È stato solo un incubo», mi dico. Lascio che il turbamento si esaurisca del tutto, quindi mi alzo.

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Informazioni su Simone Germini

Classe 1989, dopo il diploma di liceo scientifico mi iscrivo alla facoltà di Lettere presso l'Università degli Studi di Roma La Sapienza, dove mi laureo nel luglio del 2015 con la tesi «Figlie della crisi. I personaggi femminili di Heinrich von Kleist», pubblicata sulla rivista «Le rotte - Il porto di Toledo». Sempre presso lo stesso ateneo, nel settembre del 2017, conseguo la laurea magistrale in Filologia Moderna, con la tesi «Con le parole guerra alle parole. Linguaggio e scrittura in Carlo Michelstaedter». Dal 2012 al 2018 sono stato caporedattore del blog «Freemaninrealworld». Insieme con Lorenzo Pica, Raffaele Rogaia e Marco Zindato ho fondato il sito iMalpensanti.it. Sul blog «Bazzecole» i maldestri tentativi di scrittura creativa. Per info e contatti simonegermini@yahoo.com.

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