In provincia – Padre Massimo

Mi trovavo seduto in cucina, immerso nella lettura, impigliato in pagine di rara grandezza, quando all’improvviso squillò il citofono e mi fece sobbalzare. Quel grido acuto mi riportò con impertinenza e maleducazione alla realtà. Fu come risvegliarsi di colpo da un sogno, colpito in faccia da una secchiata d’acqua gelata. Mi alzai dalla sedia lentamente, controvoglia, maledicendo il disturbatore. Dietro quegli squilli si celava sempre una fastidiosissima gatta da pelare. È sempre così quando si abita in aperta campagna. Se in casa c’erano i miei genitori oppure mia sorella, sgattaiolavo in camera come uno scarafaggio sorpreso dalla luce elettrica e lasciavo loro l’incombenza, ma quel pomeriggio ero solo.
«Chi è?», ringhiai affacciato al portone, senza nascondere tutta la mia contrarietà.
«È permesso?», mi domandò a sua volta un vecchietto dai capelli bianchi, vestito di nero.
«Come no. Prego, entri pure», risposi mettendo da parte il ringhio del cane da guardia e indossando la maschera dell’affabilità, che sta sempre troppo stretta.
Quel vecchietto dai capelli bianchi, vestito di nero, era padre Massimo, uno dei preti del Santuario, amico di mio padre da una vita. Sapevo perché era venuto, da giorni in casa ci aspettavamo una sua visita.
Ci accomodammo in cucina, uno di fronte all’altro. In mezzo a noi il volume spalancato, quello che stavo leggendo fino a qualche attimo prima.
«Ci sono mamma e papà?», mi chiese padre Massimo spalmando le mani bianchissime, da medico, sulla tovaglia fiorita.
«Purtroppo no, sono a lavoro», risposi con sincero rammarico.
«Non importa, riferirai tu a loro», disse schermendosi un po’.
«Con piacere. Le posso offrire qualcosa di fresco?», domandai premuroso.
«No, non preoccuparti. Allora, sarò breve. Di certo immaginerai perché sono qui», io mi limitai ad annuire sorridente. «Dopo tante esperienze in consiglio comunale, mio nipote Mauro ha deciso di candidarsi a sindaco. Ormai ha quarant’anni ed è pronto per il grande salto. Purtroppo non è riuscito a vincere le primarie del Partito Democratico, quindi si presenta con una sua lista civica…», e bla bla bla.
In ogni campagna elettorale era la stessa storia. Padre Massimo irrompeva in tutte le case che aveva benedetto con l’acqua santa e sponsorizzava il nipote. Se ci fosse stata mia madre, quella volta gliene avrebbe dette quattro. Ogni volta il prete in vece del nipote prometteva mari e monti – l’illuminazione, le fogne, l’acqua di Carano -, ma poi non manteneva la parola. Io mi limitai ad assicurargli l’incondizionato appoggio di tutta la famiglia. Non mi andava di imbottigliarmi in inutili discussioni, volevo solo togliermelo di torno il più in fretta possibile. La sua presenza mi irritava, le sue parole poi mi avvelenavano il sangue già malsano di suo. Spontaneamente mi tornava alla mente l’immagine di quel poveraccio di Cristo inchiodato al legno, e schifato mi rendevo conto per l’ennesima volta nella mia vita di quanto le sue intenzioni fossero state strumentalizzate e contaminate. Ma tacevo, deglutivo e tacevo, sforzandomi di lasciar passare la rabbia, di non dargli troppo peso.
Dopo la sua tirata, padre Massimo tirò fuori dalla tasca della giacca una manciata di bigliettini, che sparse sul tavolo come un mazzo di carte. Su ogni cartoncino era stampato il nome e il bel faccione pasciuto di suo nipote.
«Distribuiscili ai tuoi amici, mi raccomando», mi disse ammiccando.
«Certo», lo rassicurai sorridendo, ma lasciando i bigliettini lì dov’erano, senza toccarne neppure uno. Avrei preso in mano pure lo sterco di un cavallo, ma non quei cartoncini. Mi facevano troppo schifo. E poi temevo che mi potessero irritare la pelle come il veleno per i topi.
«L’università come va?», mi domandò poi cambiando finalmente discorso.
«Mi sono laureato in triennale l’estate scorsa, e quest’anno ho iniziato la magistrale», spiegai.
«In cosa?».
«Filologia moderna».
«Ah… bene, bene, complimenti. E con il latino come va?».
«Beh, in triennale ho avuto qualche difficoltà, ma alla fine, sbattendoci la testa, sono riuscito a superare l’esame piuttosto brillantemente».
«Quali testi avevate in programma?»
«In realtà avevamo un solo testo in programma: la Pro Caelio di Cicerone».
«Uhm… Cicerone è complesso, ma tutto sommato divertente in queste sue orazioni minori, no? Certo, non è Petronio, però…».
Dovete sapere che anni addietro avevo chiuso il secondo anno di liceo con il debito a latino. E quell’estate era stato proprio padre Massimo a darmi le ripetizioni in vista dell’esame di riparazione. Per tutto luglio e agosto, mi recavo tre volte alla settimana al Santuario, dove, nella fresca sagrestia, il prete mi impartiva le lezioni, servendosi esclusivamente di un sottilissimo breviario di grammatica latina. Per questo si interessava tanto alla materia.
«E ora cosa stai leggendo? Vediamo un po’ di cosa si tratta…», e padre Massimo diede un’occhiata alla copertina del grosso volume che gli stava sotto agli occhi. Dopo aver letto l’autore si mise a ridere. Fu un riso sottile il suo, maligno. Un riso di scherno.
«Ah… Nietzsche… Mi è proprio simpatico. È stupido, ma simpatico», disse sfogliando a caso qualche pagina.
Io in quel momento, dopo quelle parole di scherno pronunciate da parte di quel prete che andava in giro di casa in casa a elemosinare, sì, ma i voti per il nipote candidato sindaco, provai una soddisfazione enorme, e mi resi conto ancora di più della grandezza del filosofo di Röcken. Se a più di cento anni di distanza un prete ne parlava con tanto sarcasmo, dimostrando così un profondo e feroce odio, significava che Nietzsche era davvero riuscito nel suo intento, che i suoi sforzi non erano stati del tutto vani, come invece era accaduto a quel poveraccio di Cristo, dai cui insegnamenti rivoluzionari era nata la più grande associazione a delinquere dell’intera storia dell’umanità.
Dopo quella battuta, finalmente padre Massimo alzò i tacchi e si levò di torno. Ero libero di rigettarmi a capofitto nella lettura, e con maggiore consapevolezza. Prima però dovevo sbarazzarmi di quei fottuti bigliettini. Con la pezza umida del lavandino li gettai a terra. Quindi li raccolsi con la scopa, e con disprezzo li scaraventai nel secchio, mandando al diavolo a voce alta il prete e suo nipote. Che poi alle elezioni comunali non arrivò neppure al cinque per cento.

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Informazioni su Simone Germini

Classe 1989, dopo il diploma di liceo scientifico mi iscrivo alla facoltà di Lettere presso l'Università degli Studi di Roma La Sapienza, dove mi laureo nel luglio del 2015 con la tesi «Figlie della crisi. I personaggi femminili di Heinrich von Kleist», pubblicata sulla rivista «Le rotte - Il porto di Toledo». Sempre presso lo stesso ateneo, nel settembre del 2017, conseguo la laurea magistrale in Filologia Moderna, con la tesi «Con le parole guerra alle parole. Linguaggio e scrittura in Carlo Michelstaedter». Dal 2012 al 2018 sono stato caporedattore del blog «Freemaninrealworld». Insieme con Lorenzo Pica, Raffaele Rogaia e Marco Zindato ho fondato il sito iMalpensanti.it. Sul blog «Bazzecole» i maldestri tentativi di scrittura creativa. Per info e contatti simonegermini@yahoo.com.

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