In provincia – Lo sbarco

A Giorgione non andava giù che lo sbarco degli alleati del ’43 lo chiamassero di Anzio. Gli Americani erano sbarcati prima a Nettuno. E a chi aveva la sfacciataggine di contraddirlo – qualche ragazzaccio che lo faceva apposta, per prenderlo in giro -, Giorgione rispondeva, con quel tono di voce altero tipico degli ottantenni quando proclamano la veridicità di un evento al quale tengono nel profondo: «Compà, io ce stavo. L’Americani so’ arivati prima a Nettuno, a Sa’ Rocco, e poi a porto d’Anzio». E Giorgione ripeteva sempre questa sua frase caratteristica e inconfutabile corrugando la fronte, socchiudendo gli occhietti vispi e protendendo il collo grinzoso in avanti, come fanno le tartarughe al sole. Quand’era un ragazzetto s’era persino menato con qualche arrogante scapocciasarda – così noi nettunesi chiamiamo gli abitanti di Anzio – per questa storia. E aveva vinto sempre lui, grazie alla sua mole imponente, monumentale, da gigante. Era un uomo buono, ma su questo delicato argomento perdeva la pazienza e si inalberava.
Più passavano gli anni, più Giorgione invecchiava e più il suo odio nei confronti degli eterni rivali di Anzio cresceva. Giorgione non sconfinava mai. Quando gli capitava di passeggiare per via Gramsci, in compagnia della badante ucraina alla quale non lesinava fugaci palpatine sulle natiche generose, non si spingeva mai oltre il cartello stradale che annunciava la fine di Nettuno e l’inizio di Anzio. Si fermava proprio sul confine, gettava uno sguardo sprezzante alla città rivale, sputava per terra – sull’asfalto portodanzese, beninteso, e anche se non aveva catarro si sforzava a lungo di rimediarne un po’ nei più reconditi anfratti della propria interiorità, come se lo raschiasse, come se lo scartavetrasse dalle pareti della vecchia, ma non per questo meno combattiva e astiosa anima – e poi se ne andava.
«L’unica cosa bella de porto d’Anzio è che se vede Nettuno», sentenziava quand’era al bar a giocare a tresette con gli amici pensionati, in compagnia di una bella Peroni ghiacciata, oppure a casa, al tradizionale pranzo della domenica, circondato dai figli e dai nipoti, in compagnia non di una birra, ma di una fiaschetta di Cacchione casereccio. Al bar gli amici annuivano, mentre a casa i familiari smaliziati sorridevano, ma senza farsi vedere, sapendo bene che se il vecchio li avesse notati si sarebbe infuriato mandando all’aria il lauto pasto a base di fettuccine al sugo, salsicce e patate al forno.
«Ma dimme te se mo ‘sti munelli devono nasce tutti scapoccesarde». Era stato questo l’amaro commento di Giorgione quando avevano chiuso l’ospedale di Nettuno accorpandolo a quello di Anzio. E si batteva con ardore partigiano affinché i suoi nipoti non nascessero nell’odiata città.
«A Aprilia, a Latina, ‘ndo cazzo ve pare, ma a porto d’Anzio no!», sbraitava non appena veniva a sapere di una nuova gravidanza in famiglia. E i cinque figli lo assecondarono tutti, ma in fondo solo perché uno di loro era medico al Santa Maria Goretti di Latina.
«A bella de nonno, che scola sì deciso de prenne l’anno prossimo?», domandò una volta Giorgione a una delle nipoti, sganciandole venti euro per la brillante promozione dalle medie alle superiori.
«Il liceo classico», rispose tutta orgogliosa la ragazzina, afferrando lesta la banconota e stampando le proprie labbra sulle guance flaccide del nonno.
«Ma… o liceo classico mica ce sta a Nettuno…», sussurrò Giorgione sospettoso.
«No, sta ad Anzio», precisò la nipote incauta.
«Ma che te possino…», ringhiò Giorgione strappandole di mano i venti euro.
Stavolta sì, l’intera famiglia scoppiò in una fragorosa risata.
Oltre alla testimonianza diretta, altre due erano le prove che Giorgione adduceva a sostegno della sua tesi che lo sbarco del ’43 fosse avvenuto prima a Nettuno e dovesse chiamarsi proprio sbarco di Nettuno e non sbarco di Anzio, come invece lo conosceva ingiustamente tutto il mondo: il baseball e il Cimitero Americano. Insomma, voleva pur dire qualcosa se il Nettuno Baseball era la squadra più importante e titolata d’Italia (un po’ come la Juventus nel calcio) mentre l’Anzio faceva pena, e se il cimitero che raccoglie tutte le vittime americane morte in Italia dalla Sicilia fino a Roma stava proprio a Nettuno, no? Per Giorgione voleva dire che Anzio al cospetto della sua amata città non era niente, non valeva niente. Per quanto i libri di storia, sui quali avevano studiato i figli e sui quali stavano studiando i nipoti, potessero dire il contrario.

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Informazioni su Simone Germini

Classe 1989, dopo il diploma di liceo scientifico mi iscrivo alla facoltà di Lettere presso l'Università degli Studi di Roma La Sapienza, dove mi laureo nel luglio del 2015 con la tesi «Figlie della crisi. I personaggi femminili di Heinrich von Kleist», pubblicata sulla rivista «Le rotte - Il porto di Toledo». Sempre presso lo stesso ateneo, nel settembre del 2017, conseguo la laurea magistrale in Filologia Moderna, con la tesi «Con le parole guerra alle parole. Linguaggio e scrittura in Carlo Michelstaedter». Dal 2012 al 2018 sono stato caporedattore del blog «Freemaninrealworld». Insieme con Lorenzo Pica, Raffaele Rogaia e Marco Zindato ho fondato il sito iMalpensanti.it. Sul blog «Bazzecole» i maldestri tentativi di scrittura creativa. Per info e contatti simonegermini@yahoo.com.

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