In provincia – Il Calvario

Giunta finalmente a casa, Katia trovò la madre ad attenderla in cucina. Dopo essersi sfilata il capotto e averlo gettato con stizza sul divano del salotto, si abbandonò sulla sedia, pesantemente, senza neppure tentare di nascondere tutta la stanchezza e tutta la frustrazione. Erano le undici di sera e doveva ancora mangiare. Per quanto piccolo, il suo stomaco gridava disperato, come se dentro ci fosse imprigionato il protagonista dell’Urlo di Munch.
Dopo qualche secondo di totale rilassamento, Katia iniziò a mangiare. La fame è sempre il migliore degli ingredienti, c’è poco da fare, e quel petto di pollo freddo, stoppaccioso, che s’appiccicava ai denti quasi volesse strapparli dalle gengive, le sembrava il piatto più prelibato del mondo. La madre, che aveva smesso di guardare la televisione al suo arrivo, la osservava con un’espressione compassionevole, senza dire una parola.
«I bambini stanno a letto?», domandò Katia alla madre dopo aver divorato in un attimo metà della fettina cadaverica e gessosa.
«Sì, tranquilla, li ho messi a letto un’oretta fa».
«Hanno fatto storie?».
«No, si sono addormentati subito».
Katia aveva trentacinque anni. Otto di questi li aveva passati sposata con Paolo, poi i due si erano separati. Era stato un divorzio complesso. L’uomo, che aveva almeno un paio di altre donne, si era fatto legare per matto ed era servito l’intervento della polizia. Dopo alcuni mesi burrascosi, fatti di poste, minacce e pure qualche sputo, si era placato ed era sparito, fregandosene dei figli. Katia non vedeva neppure un centesimo del mantenimento stabilito dal giudice, e per fortuna c’erano i suoi genitori a darle una mano. Faceva la segretaria in uno studio legale a Roma, che raggiungeva, abitando a Nettuno e non potendosi permettere una macchina, col famigerato treno regionale. Dal lunedì al venerdì, e talvolta pure il sabato, in caso d’urgenza, era costretta a sobbarcarsi due ore e mezza di viaggio, tra andata e ritorno, su quei vagoni stracolmi, sporchi e puzzolenti, in cui misteriosamente l’aria condizionata funzionava l’inverno e l’estate invece si faceva la sauna. Due ore e mezza quando tutto andava bene. Ma i giorni in cui tutto andava bene, su quella fatiscente linea ferroviaria, erano fottutamente rari. Bastavano due gocce d’acqua per generare il caos e accumulare ritardi su ritardi, cancellazioni su cancellazioni.
«Grazie mamma, se non ci fossi tu…», disse Katia dopo aver ingoiato anche l’ultima foglia di lattuga che accompagnava il petto di pollo.
«Ma grazie di che? Lo sai che per me è sempre una gioia occuparmi dei bambini. Accompagnarli a scuola, poi andarli a riprendere, portarli a casa, preparargli la merenda, la cena e alla fine metterli a letto. Mi sento giovane. E per tuo padre è lo stesso», la rassicurò la madre, sparecchiando la tavola.
«Certo che oggi deve essere stata davvero dura, eh?», le domandò poi.
«Oggi è stato un Calvario, credimi», rispose Katia, massaggiandosi le tempie. Lo faceva sempre quand’era nervosa.
«Eh… ti credo, ti credo, stella mia…», sospirò la madre.
«Allora. Tanto per cominciare, stamattina il treno delle sei e mezza è stato cancellato. Ho dovuto prendere quello delle sei e cinquantotto – a Villa Claudia già strapieno, ovviamente – e di conseguenza ho fatto tardi a lavoro. Vabbè, fosse stato solo questo, c’avrei messo la firma. Macché… Il vero dramma è stato il ritorno. Questo pomeriggio quasi tutti i treni li hanno soppressi. Dopo tre ore ferma a Termini, insieme a una marea di poveracci nella mia stessa situazione, ho deciso di tornare col Cotral. Mai più… te lo giuro, mai più. Era meglio restare a Roma e prendere una stanza in albergo. Non puoi neppure immaginare quant’era zozzo quell’autobus. E poi la puzza… me la sento ancora addosso, che schifo… È stato terribile. Ter-ri-bi-le», raccontò Katia.
«Così però non è giusto», commentò la madre, incredula.
«E no che non è giusto!», esclamò Katia battendo il pugno sulla tavola. «Uno si spacca la schiena tutti i santi giorni per non finire nell’illegalità ed ecco come ci ripagano ‘sti stronzi! C’impediscono di vivere una vita dignitosa, e non c’è cosa peggiore. E menomale che io ho te e papà. Pensa a tutti quei disgraziati che non hanno nessuno. Come fanno? Ma è mai possibile vivere così? Peggio delle bestie… Già perdiamo un’enorme quantità di tempo che nessuno ci ridarà indietro. Tempo che potremmo, anzi, che dovremmo dedicare ai nostri figli. Io tutto sommato sono ancora giovane, bene o male ce la faccio a sopportare tutti questi disagi assurdi, ma chi ha sessant’anni? Come cazzo fanno a mancare di rispetto in questo modo a chi ha sessant’anni? Con quale coraggio, eh? Con quale faccia tosta? Per loro non siamo niente…».
Katia parlava veloce, con foga, con rabbia, e le parole avvelenate che precipitavano fuori dalla sua bocca si accavallavano, si calpestavano, si schiacciavano. Era esasperata e incazzata, incazzata nera. Sapeva di aver subito l’ennesima ingiustizia, l’ennesima violenza psico-fisica senza poter fare niente, senza poter opporsi o ribellarsi.
«Ci rompiamo il culo», continuava Katia con fervore, rivolta verso la madre che la osservava con quella sua espressione compassionevole, «paghiamo abbonamenti, tasse e loro intanto potenziano l’alta velocità, si fanno belli… Se ne fregano del cuore pulsante del paese, che tira la carretta e senza il quale non sarebbero niente. Trascurano quelle linee regionali sovraccariche di migliaia di lavoratori che si affannano per arrivare a fine mese. Non è giusto. No, non è giusto…».
Dopo lo sfogo Katia liberò la madre, che abitava nello stesso palazzo, ma al piano di sopra.
«Salutami papà».
«Eh… tuo padre starà dormendo da un pezzo. Ora riposati, ci vediamo domani».
«Buonanotte mamma, e grazie ancora».
Katia salutò la madre con un abbraccio, poi se ne andò nella cameretta dei bambini. Rimase buoni dieci minuti sulla porta a osservarli. Entrambi dormivano beati, e la loro beatitudine si trasmise a poco a poco anche a Katia, che finalmente, dopo una giornata infernale, da dimenticare, tornò a sorridere. Dopo la contemplazione delle sue due creature, la donna stampò sulle loro fronti fresche e lisce due baci discreti, attenta a non svegliarli. La sola vista dei figli aveva il miracoloso potere di distogliere Katia all’istante da tutte le preoccupazioni quotidiane, anche quelle più irritanti. Bastava un solo sguardo ai suoi angioletti per farle dimenticare tutto il resto, il treno, l’autobus, la puzza, l’esasperazione, la rabbia.
In punta di piedi Katia lasciò la cameretta tappezzata di disegni coloratissimi, poi, sfinita, senza neppure lavarsi e cambiarsi, si gettò sul letto, piombando all’istante in un sonno profondo.

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Informazioni su Simone Germini

Classe 1989, dopo il diploma di liceo scientifico mi iscrivo alla facoltà di Lettere presso l'Università degli Studi di Roma La Sapienza, dove mi laureo nel luglio del 2015 con la tesi «Figlie della crisi. I personaggi femminili di Heinrich von Kleist», pubblicata sulla rivista «Le rotte - Il porto di Toledo». Sempre presso lo stesso ateneo, nel settembre del 2017, conseguo la laurea magistrale in Filologia Moderna, con la tesi «Con le parole guerra alle parole. Linguaggio e scrittura in Carlo Michelstaedter». Dal 2012 al 2018 sono stato caporedattore del blog «Freemaninrealworld». Insieme con Lorenzo Pica, Raffaele Rogaia e Marco Zindato ho fondato il sito iMalpensanti.it. Sul blog «Bazzecole» i maldestri tentativi di scrittura creativa. Per info e contatti simonegermini@yahoo.com.

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