Il vuoto prima e dopo di Lei – Dialogo con il Dolore

A Lei, con l’augurio che queste pagine siano il frutto amaro di una fase, non della fine.

Ti son vicino e tu mi sei lontana,
mi guardi e non mi vedi, o s’io ti parlo,
pur amando ascolti, non però m’intendi;
ti sono questo corpo e questi suoni,
ti sono un nome, ti son un dei tanti,
come un altro sarebbe
che per nome e per vista conoscessi.

Carlo Michelstaedter, A Senia, VI

Tutto tace. Nella campagna assopita non si sente un sussurro. Tutto dorme, ma non io, che me ne sto con gli occhi sbarrati nel buio, abbandonato su quella vecchia poltrona dove l’ho immaginata tante volte, in ascolto delle mie parole.
Tutto tace, anzi, non proprio tutto. Dentro di me sento come un fruscio, un mormorio indistinto, simile a quello prodotto dalle foglie accarezzate dal vento. Tendo l’orecchio, concentro tutta l’attenzione su quel suono indefinibile ed ecco che il fruscio diviene voce, una voce sempre più chiara, severa, solenne, che sgorga dalle mie più remote e anguste profondità, dalle buie e umide prigioni del mio essere. La ascolto, gli parlo.

– Ti sento, ti ascolto. Dimmi chi sei.
– Io sono l’unica, vera forza costitutiva dell’esistenza umana, che vi accompagna dal primo all’ultimo istante delle vostre misere vite. Vi sforzate di fuggirmi, di evitarmi, di zittirmi, ma io resto, resisto nel fondo di ognuno di voi, ricchi o poveri, felici o tristi, belli o brutti, sempre pronto a sgretolarvi. Io sono il Dolore.
– Io non ti ho mai evitato, non ti ho mai zittito, lo sai bene. Sono sempre stato un tuo fedele portavoce.
– Sì, ma non è questo il punto, non ora almeno. La tua lealtà non è in discussione.
– Mi fa piacere che tu lo riconosca, ma di cosa vuoi parlare allora?
– Possibile che tu non lo sappia?
– Certo che lo so… si tratta di Lei.
– Non solo di Lei, ma di Lei in relazione a te, di voi.
– Cosa vuoi sapere?
– «Mai più», avevi promesso a te stesso, «mai più un dolore accessorio che aggravi il dolore inestinguibile causato dal semplice fatto di essere, di esistere». Perché hai infranto la promessa?
– Perché con Lei era diverso, con Lei era come con nessun’altra donna prima d’ora.
– Ma l’epilogo è lo stesso. Anche Lei alla fine ti ha escluso dalla sua vita, dal suo cuore, forse persino dalla sua memoria, come tutte le altre.
– Questo non è ancora certo.
– No? Davvero? Il tuo ottimismo mi stupisce… Ma tu stesso lo sospetti e così mi alimenti, alimenti la mia voce che diviene ogni giorno più forte, cupa, solenne, fino a quando raggiungerà l’intensità del grido, ti sovrasterà e tu diverrai me.
– Tu stesso sapevi che questa volta non si trattava di un’illusione, ma di un rapporto vero, autentico, profondo, intimo, altrimenti non avresti taciuto, non mi avresti permesso di andare avanti.
– Io so soltanto che ora soffri come mai prima nella tua vita, che non sono mai stato così forte in te. Guardati, sei esausto, così esausto da non riuscire neppure a prendere sonno, e stai scomparendo. Non sei mai stato così leggero. Le tue vene non sono mai state così chiaramente visibili, così spesse sulle tue braccia, quasi si offrissero alla tentazione di scomparire; le tue costole non sono mai state così in rilievo, quasi volessero strappare il sottile velo di pelle che le ricopre ed erompere fuori. Tra poco di te non resterà che un mucchietto di polvere.
– In effetti, prima d’ora non c’è mai stata una vera comunicazione tra di noi, ma non perché ti rifuggissi.
– Lo so, lo so, non devi giustificarti. Dunque credevi che questa volta non si trattasse di un’illusione, che tra di voi ci fosse un rapporto vero eccetera eccetera.
– C’era, la nostra corrispondenza lo dimostra, sebbene ora Lei minimizzi facendomi sentire, suo malgrado, ancor più esasperante e ridicolo di quanto in realtà io sia.
– Forse…
– Sì, forse. Di certo ho sbagliato, in un certo senso ho tradito me stesso, il mio pensiero immaginando che il nostro legame fosse indissolubile, inattaccabile, immune agli imprevedibili e violenti assalti della vita.
– Credevi che tra di voi fosse nato un legame che sarebbe «rimasto scolpito nei secoli». È così che le hai scritto una volta, vero?
– Lo so, sono stato eccessivo, insistente, per molti aspetti ridicolo, ma Lei mi ha scritto parole così importanti in questo anno e mezzo, parole davvero incredibili, che mai avrei immaginato di poter ispirare a una donna, neppure nei miei sogni più rosei. Lei è stata la prima, l’unica a spingersi oltre l’apparenza e vedermi dentro, fino a scoprire la mia essenza. Ero diventato per Lei un punto di riferimento, una Stella Polare e credevo di poterlo restare per sempre.
– Dunque sei rimasto perché ti fidavi di te stesso, della tua importanza acquisita nella sua vita, perché ti fidavi di Lei, del vostro rapporto, del vostro legame. È per questo motivo che non le hai detto addio quando hai avuto la tentazione di farlo, addolorato dalle circostanze.
– Non volevo amareggiarla. Restare, nonostante tutto, nonostante l’impossibilità, accettare per la prima volta una sfumatura tra il bianco e il nero, una parte tra il niente e il tutto, cedere per la prima volta al compromesso era l’unico modo che avevo per dimostrarle la mia gratitudine e quanto tenessi a Lei, quanto mi ritenessi fortunato ad averla incontrata dopo averla cercata ovunque per una vita intera.
– L’hai protetta dal dolore della perdita, della separazione, che allora avrebbe certamente provato, e così facendo ti sei esposto tu stesso a questa sofferenza che ora ti divora.
– Con Lei mi sentivo al sicuro, al riparo dal dolore e dalla delusione, perché sapeva comprendermi, perché aveva colto e accettato la mia terribile unicità, perché grazie a Lei avevo scoperto di valere qualcosa, di non aver versato invano litri e litri d’inchiostro in tutti questi anni, perché, rispettando la sua vita, la sua famiglia, le sue scelte passate, per la prima volta non chiedevo nulla a una donna, offrivo e mi offrivo senza domandare niente in cambio. Se avessi avuto anche solo il sospetto di potermi fare male, avrei interrotto la nostra corrispondenza, avrei evitato per tempo tutto questo.
– Com’era la tua vita prima di Lei?
– Vuota. La consapevolezza dell’insensatezza della vita e della vanità di ogni singola azione umana, aveva assunto la dimensione totalizzante della malattia e non lasciava spazio che a un solo pensiero: la morte. Perduta la fiducia in me stesso, nelle parole, nella scrittura, nei rapporti umani, vivevo con drammatico anticipo, già in vita, il nulla che ci attende dopo la morte. Ero immerso nelle tenebre e ogni singolo giorno era un compromesso. Aspiravo all’indifferenza, l’unico modo che mi restava per poter sopravvivere, e non per me, per qualche mia vana speranza, ma per i miei genitori, perché non dovessero affrontare il dolore terribile causato dalla perdita di un figlio.
– Lei ha cambiato tutto.
– Lei è stata la luce che ha squarciato le tenebre, e ciò che all’inizio mi è apparso come un lampo improvviso, giorno dopo giorno è divenuto un sole. Finalmente potevo contare sull’affetto e la presenza costante di una persona che sapeva comprendermi e apprezzarmi davvero, cosa spesso impossibile persino per me stesso. Finalmente provavo un senso di completezza, di interezza mai provato prima. Sì, Lei mi completava ed io completavo Lei. Non che la mia vita avesse acquistato un senso, perché Lei, date le circostanze, fisicamente non c’era, non c’era totalmente e non poteva esserci, ma almeno mi sembrava meno insensata. La sua apparizione fu un dono della vita e un miracolo. Così radicale, così assoluto, non potendo godere del suo amore decisi comunque di restare, di accontentarmi, consapevole del fatto che se ci fossimo incontrati in circostanze diverse, liberi entrambi, Lei avrebbe potuto amarmi. Se non avessi accettato la sua presenza nella mia vita, avrei solamente fatto del male a me e a Lei, quando né io né Lei avevamo colpe e meritavamo di non soffrire, non a causa nostra almeno. Sapere di essere nei suoi pensieri, sapere di ricevere una sua lettera era una consolazione. Grazie a Lei non pensavo più solamente all’insensatezza, alla vanità, al nulla, alla morte; grazie a Lei il mio cuore carbonizzato tornava a ravvivarsi e la mia anima rasa al suolo a ricostruirsi. Nel mio mondo grigio di polvere e macerie, era nato e cresceva ogni giorno di più, forte e rigoglioso, un albero: il nostro rapporto, il nostro legame. Purtroppo non potevo chiedere di più, ma fui capace di accontentarmi, contenendo però ai suoi occhi l’entusiasmo e la passione, per non spaventarla, per non metterla in difficoltà e per non lasciarmi travolgere da un amore lontano, disperato, impossibile, senza futuro e che, come tale, mi avrebbe annientato.
– Ma questa storia ti ha annientato lo stesso, nonostante le precauzioni.
– Prima della sua miracolosa apparizione credevo di essere morto, invece mi trovavo piuttosto in uno stato di coma. Lei, con la sua ammirazione e il suo affetto sfumato d’amore, anche se ora non lo ritiene più tale, mi ha rianimato, mi ha riportato alla vita. Durante la nostra corrispondenza credevo che il culmine della disperazione fosse averla conosciuta in queste circostanze, ora capisco che il culmine della disperazione è averla perduta nonostante le circostanze.
– Quando hai capito che Lei ti aveva riportato in vita?
– Quando ho incontrato finalmente il suo sguardo, dopo un anno e mezzo di lettere. La sua presenza fisica, materiale, l’averla accanto mi ha trasmesso immediatamente forza e coraggio, una forza e un coraggio giovanili, che non credevo di possedere più. In quel momento, vedendola in carne e ossa davanti a me, ancor più bella di quanto le sue fotografie mi avessero lasciato immaginare, ho capito che, nonostante l’impossibilità, nonostante la vita, non avrei mai rinunciato a Lei, per nessuna ragione. Era diventata parte di me, e la mia parte più vitale, dunque più necessaria. L’avevo cercata per così tanto tempo… e ovunque, in ogni luogo frequentato, in ogni aula universitaria, in ogni biblioteca, in ogni museo, in ogni treno, in ogni strada… e ora, finalmente, era davanti a me! Finalmente potevo osservarla, ammirarla, accarezzarla con lo sguardo, abbracciarla, parlare con Lei… Non ho mai provato un entusiasmo così travolgente come in quel momento. Non si trattava di un sogno, di una fantasia… Lei era lì, in carne e ossa, a un passo, un solo passo da me! Lei esisteva davvero!
– Tuttavia, il vostro incontro non è andato come speravi, come speravate, forse.
– No. Avrei voluto rubare almeno un’ora a questa vita e farla nostra. Avrei voluto dirle tutto ciò che, fino a quel momento, ero stato costretto a tacere, quanto fosse diventata importante per me, quanto fosse diventata necessaria. Avrei voluto vivere realmente, al suo fianco, le emozioni vissute per corrispondenza. Avrei voluto conoscere i suoi lati ancora sconosciuti, la sua parte più giocosa, leggera e la sua parte più cupa, ostile. Avrei voluto che Lei fosse felice della mia presenza al suo fianco come io lo ero della sua. Insomma, per farla breve, avrei voluto che il nostro primo incontro celebrasse il nostro rapporto, ne rappresentasse il trionfo, sapendo quanto anche Lei lo avesse desiderato e immaginato.
– E invece…
– E invece il nostro primo incontro ha sancito probabilmente la fine del nostro rapporto e resterà l’ultimo. Purtroppo non ho saputo interpretare i suoi lunghi silenzi degli ultimi mesi e non ho capito che per Lei il nostro rapporto non era più lo stesso, si era come raffreddato. Così, quando me lo ha confessato, mi sono sentito morire, anzi, sono morto in quel momento. L’ho sentita di colpo lontanissima da me, proprio nell’istante in cui si trovava fisicamente al mio fianco, e mi sono sentito risucchiare dall’insensatezza e dal vuoto, quel vuoto che Lei sola era riuscita a colmare. In quel momento ho capito di averla perduta per sempre… C’è un quadro di Munch che rappresenta alla perfezione il mio stato d’animo in quel terribile istante. Si intitola Separazione e raffigura due soggetti: una donna dai lunghi capelli biondi, vestita di bianco, che si allontana, e un uomo, abbandonato, gli occhi chiusi, che stringe il suo cuore sanguinante. Risulterò svenevole, melodrammatico e mi detesto per questo, ma da quel giorno il mio cuore sanguina copiosamente. Lo stringo con tutte le forze, ma non riesco ad arrestare l’emorragia e ormai si è quasi svuotato del tutto. Sta morendo di nuovo, e per sempre questa volta. Tra poco tornerà ad essere un sasso senza vita, incenerito, un pugno di lava disseccata.
– Eppure quel giorno Lei non ti ha detto addio, anzi, ha espresso la volontà di ricominciare, solamente con più calma e tranquillità.
– Non mi è ancora chiaro cosa intendesse dire.
– No? Ma il senso della sua richiesta è evidente: non voleva interrompere il vostro rapporto.
– Sì, sono stato io a rovinare definitivamente tutto, con la mia dannata inadeguatezza. Io, che non avevo più paura di niente, indifferente a tutto, non sono stato capace di gestire, di domare la paura di perderla e, in questo mese e mezzo, incurante della sua richiesta, delle sue nuove esigenze, l’ho sommersa di parole, ho riversato su di Lei tutte le mie ansie, le mie angosce, le mie insicurezze, le mie contraddizioni, spaventandola, sconcertandola, costringendola a interrompere la nostra corrispondenza, che la mia maledetta incontinenza ha reso incompatibile con la sua quotidianità. Sapevo di correre un rischio enorme inviandole quelle lettere deliranti, a causa delle quali ora provo un profondo imbarazzo, ma scriverle era l’unico modo che avevo per lottare per Lei, per noi, per il nostro rapporto. Non mi è mai pesata tanto la distanza come in questo mese e mezzo. Volevo salvare il nostro legame, ravvivarlo, ricordandole quanto fosse stato importante per Lei, e invece ho rovinato tutto, irrimediabilmente. Ora è giusto che paghi le conseguenze del mio errore, della mia sciocca e infantile intemperanza. Raramente la mia umanità si è manifestata con una tale forza, raramente ha prodotto danni di questa portata.
– Interrompere la vostra corrispondenza, ovvero rinunciare all’unico mezzo di comunicazione che vi legava, equivale a un vero addio. Dunque avevo ragione quando ti dicevo, all’inizio della nostra conversazione, che Lei, anche Lei alla fine ti ha escluso dalla sua vita e dal suo cuore, forse persino dalla sua memoria, leggendo le sue ultime parole. Prima lo accetterai, meglio sarà per te.
– Forse hai ragione…
– «Io ho sempre ragione». Ti dice niente questa frase?
– Sì, Lei è stata la tua voce in quest’ultimo mese e mezzo.
– Ma ora Lei non c’è più ed io solo sono la mia voce. Tu lo diverrai, perché non hai scampo. Com’è la tua vita ora, dopo di Lei?
– Vuota, di nuovo. Di nuovo l’insensatezza ha preso il sopravvento e mi divora, dall’interno, come un cancro. Di nuovo non ho che un pensiero: la morte. Perduta per sempre la fiducia in me stesso, nelle mie capacità, nelle parole, nella scrittura, nei rapporti umani, mi avvio verso il silenzio e sprofondo di nuovo nel nulla, per non uscirne più questa volta. Si è spento il sole e mi trovo di nuovo immerso nelle tenebre, ma i giorni non sono più compromessi e non aspiro più all’indifferenza, perché sono morto quel giorno e che io viva oppure mi uccida ormai non fa più alcuna differenza.
– Cosa rappresenta per te questa storia?
– Il fatto che sia terminata, e con questi toni, con queste modalità, così distanti dalla sensibilità, dall’empatia che Lei mi ha sempre dimostrato e dall’importanza che diceva di avere il nostro rapporto per Lei, è l’ultima, definitiva, estrema prova che la solitudine e la disperazione sono davvero il mio destino, che per me, su questa povera terra dimagrata, non c’è davvero soccorso. Sono io ad avere sempre ragione, anzi, sono io il solo ad avere la ragione.
– Ma non c’è alcuna ragione.
– Per questo la possiedo. Solo chi sa che non c’è ragione ce l’ha.
– Cosa intendi fare ora?
– Isolarmi, ma davvero; seppellirmi, ma davvero; fare terra bruciata intorno a me, ma davvero; diventare deserto, ma davvero; ricordare sempre, ravvivare la delusione quando si assopisce e farmi carico del mio dolore, ogni sacrosanto giorno, come Sisifo si fa carico del suo masso. Voglio diventare la sua voce e, soprattutto, voglio sconfiggere la Vita, la mia più acerrima nemica, che si è presa la sua rivincita. Ma sarà mia l’ultima parola e ho appena iniziato a esprimerla, perché senza di Lei non ho più bisogno di niente e di nessuno. Sarà una lotta dura, sanguinosa, cruenta, ma sono pronto.
– Non ti sembra di esagerare?
– Io non sono come tutti. Io non vivo, non sento, non amo, non soffro come tutti e non mi interessa cosa pensino gli altri. Non mi sono mai ritenuto migliore di loro, né meno misero, anzi di più, perché consapevole di esserlo. Semplicemente apparteniamo a mondi diversi e nel mio mondo desertico, gelido, vuoto io sono orgoglioso della mia coerenza feroce.
– Ti troveranno ridicolo. Non comprenderanno e rideranno di te.
– E io di loro.
– Lei non avrebbe mai voluto che finisse così.
– Neanch’io, ma, evidentemente, non poteva finire in modo diverso.
– Se Lei leggesse queste pagine, cosa credi che penserebbe?
– Credo e temo che, in questo momento, le giudicherebbe come l’inquietante delirio di un uomo esasperato, di cui ha fatto bene a liberarsi. Una parte di Lei saprebbe comprendermi e consolarmi, quella parte che, un giorno, mi disse sarebbe stata per sempre mia, mia solamente, ma che ho paura sia stata travolta dalla vita e sia andata perduta, dispersa.
– Sai, credevo che durante la nostra conversazione avresti utilizzato più spesso la parola amore.
– Non avrebbe avuto senso, perché si ama in due.
– Prima del vostro incontro, avevi individuato il più grande valore dell’amore nella possibilità di condividere il peso insostenibile dell’esistenza con la persona amata.
– Era stato il nostro rapporto a ispirarmi questa idea.
– Ora?
– Ora penso che due esseri, anche se legati da quel sentimento definito comunemente, spesso con troppa leggerezza, amore, restino comunque entità separate, divise, incompenetrabili. Per questo motivo gli uomini sono costretti a formalizzare le loro unioni, attraverso il matrimonio e la creazione di una famiglia. Si legano per fingersi uniti e inseparabili. Ma il pieno possesso della persona amata è impossibile, per questo motivo il piacere carnale lascia sempre insoddisfatti. Le coppie stabili eludono questa insoddisfazione permanente facendo del rapporto carnale un gesto quotidiano, senza un orizzonte, senza una fine e così si creano l’illusione dell’appagamento. Il piacere si esaurisce nell’attimo effimero dell’orgasmo e lascia un vuoto incolmabile. Ma ora sto divagando.
– Decisamente. Se un essere straordinario ti apparisse ora e ti domandasse di esprimere un desiderio, cosa chiederesti?
– Di passare almeno un’ora con Lei.
– Ancora?! Perché?
– Perché sono certo che parlandole di persona saprei farmi comprendere. Perché vorrei godere appieno della sua presenza, della sua esistenza, della sua compagnia, come non ho saputo fare durante il nostro primo incontro. Perché vorrei parlare con Lei ancora di tante cose… Perché credo che il nostro rapporto sia ancora vivo in Lei, in un angolo remoto del suo cuore e meriti un’altra possibilità. Perché credo che potremmo farci ancora del bene a vicenda. Perché vorrei che mi smentisse e mi consolasse…
– Insomma, non intendi dirle addio, anche se Lei lo avesse fatto.
– Io non le dirò mai addio, perché se lo facessi non lo direi solo a Lei, ma anche a me, a quel poco di buono che ho fatto nella vita e di cui Lei è il fiore, come Euridice fu il fiore del canto d’Orfeo. Fin quando sarò vivo, io resterò per Lei un porto sicuro, e se un giorno sentirà di nuovo il bisogno di rifugiarsi da me, io ci sarò, pronto ad accoglierla e proteggerla dalla tempesta. È una promessa e sai che per me, a differenza di tutti gli altri, le parole hanno un valore sacro, inviolabile.
– È proprio questo il tuo problema. Sei rimasto solo tu a dare valore alle parole. Ormai non significano più niente. Comunque, Lei lo sa?
– Sì, ma non credo che in questo momento le interessi molto.
– Bene, l’importante è che tu ne sia consapevole e non abbia più aspettative.
– Come potrei averne dopo le sue ultime parole? Non ho più aspettative, speranze, sogni, obiettivi, e non solo in relazione a Lei, ma in generale nella vita. Io mi fermo qui, la mia ricerca è terminata. Come ti ho già detto, non ho più bisogno di niente e di nessuno ormai, se non di Lei e del nostro legame, che non esistono più.
– Ti credo. D’ora in avanti saremo tu ed io, uniti contro la Vita. Ora cerca di riposare, ma sappi che non ti darò tregua neppure nel sonno. Ti condurrò Lei, insieme a tutte le altre, e non smetterai di ricordare e di soffrire neppure mentre dormi. A presto.

La voce del Dolore tace. Mi alzo dalla poltrona, sfinito, e mi getto sul letto, un’ultima sigaretta tra le labbra. Un gallo canta già, ma c’è ancora tempo perché Lei mi visiti in sogno e mi ricordi che non c’è più. Ecco cos’è ora la mia esistenza: passare da un vuoto all’altro, dal vuoto del giorno al vuoto della notte, dal vuoto della veglia al vuoto del sonno, dal vuoto della realtà al vuoto del sogno.

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