Il peso dei legami – Seconda parte – Io la salvo

Non è passato neppure un mese dall’ultima volta, eppure Carlo si ritrova già sulla strada del piacere. Bollette a ventotto giorni. Il primo giro va a vuoto, Alina non c’è. Il secondo è quello buono. Alina è lì, sul ciglio della strada, sorridente come sempre. Sale in macchina e si avvinghia al braccio destro di Carlo, pregandolo di intensificare il riscaldamento. Ha freddo, e da qui a febbraio, spiega, sarà sempre peggio. Al freddo non ci si abitua, mai, anche se ad esso si è esposti ogni sacrosanto giorno.
Alina trema, batte i denti. A Carlo quel calore umano fa bene. Ne ha un gran bisogno.
– Sono contenta di rivederti, – sussurra Alina guardando Carlo dritto negli occhi.
– Anch’io, e mi dispiace di non essere riuscito a venire prima. Denis come sta? – si informa Carlo.
– Bene. Sta imparando ad andare in bicicletta senza le rotelle. Ho foto nuove, poi te le faccio vedere, – risponde Alina, raggiante, ed è come se dentro l’auto di Carlo fosse precipitato il sole.
Carlo parcheggia al solito posto. Una volante dei Carabinieri passa loro vicino, ignorandoli. Di tanto in tanto le raccolgono, le riuniscono tutte in commissariato, le danno qualche consiglio e le rilasciano. Alina inizia a spogliarsi, ma Carlo la ferma.
– Mi sono riscaldata, tranquillo, – lo rassicura Alina togliendosi il cappotto.
– Non sono qui per questo, Alina, non stasera, – replica Carlo afferrandole entrambe le mani.
– Come… non vuoi fare l’amore con me? – domanda Alina, stupita e delusa.
– Ti ho portato una cosa, – risponde Carlo e tira fuori dalla tasca del giubbotto una busta da lettera, piena, che porge ad Alina. Alina la afferra e la apre con cautela.
– Oddio! – esclama la donna dopo aver sbirciato nella busta, portandosi la mano alla bocca. – Perché? – domanda poi a Carlo, con lo sguardo languido di chi riceve molto più di quanto merita.
– Scappa, Alina, scappa. Torna da Denis, parti domani stesso, – risponde Carlo con entusiasmo. Alina gli sorride e riporta lo sguardo sui soldi.
– Sono tanti… – sussurra sfiorandoli con la punta delle dita.
– Non tantissimi in realtà. Sono ottocento euro, dovrebbero bastare. Forza, prendili e scappa, torna da Denis.
– Eh… non è così semplice. Ma deve essere un intero stipendio.
– No, Alina, non è uno stipendio, io non lavoro…
– E come… – lo interrompe Alina, preoccupata.
– Sono i soldi che mi hanno regalato per la laurea, ma non importa. Quel che importa è che tu li prenda. Adesso sono tuoi e di Denis.
– Paolo… sei così buono, – e Alina lo abbraccia.
– Mi chiamo Carlo, non Paolo.
– Sì, scusami, – e Alina lo stringe ancora più forte.
– Non devi scusarti. E comunque non sono buono, sono solo un uomo finito. Anzi, sono un uomo che forse non è mai iniziato, – ringhia Carlo a denti stretti, stizzito con se stesso, ma baciando Alina sulla fronte.
I due se ne restano così, abbracciati, senza dire una parola, per almeno cinque minuti.
– Carlo, grazie, ma non posso accettare, – sussurra Alina rompendo il silenzio. Evidentemente in questi cinque minuti non ha fatto altro che pensare a questo, se accettare oppure no.
– Perché? Perché no? – le domanda Carlo, e nella sua voce vibra una nota di disperazione.
– Questi soldi sono tuoi, te li hanno regalati e ti servono, si vede. Tanto, anche se li accettassi non potrei scappare, non potrei tornare da Denis come dici tu, – gli spiega Alina, accarezzandogli la barba di nuovo incolta, castana con qualche riflesso bronzeo e bianco, di già.
– Allora mettili da parte, per Denis, – prova a convincerla Carlo, stavolta quasi implorandola.
– Basta parlare, Carlo, facciamo l’amore, – e Alina posa la busta sul cruscotto, si lancia sulla bocca di Carlo, che non sarebbe neppure dell’umore giusto, ma viene travolto da cotanta passione.
Carlo e Alina si rivestono, e lui ci prova per un’ultima volta.
– Allora, sei proprio sicura? Potrebbero farti comodo.
– Faranno più comodo a te, – e Alina lo bacia ancora una volta.
Carlo la riconsegna al suo lembo di terra desolata e riprende la via di casa. Nessun vagabondaggio questa notte, ha un gran bisogno di dormire. La sua auto procede con indolenza, mentre Carlo fuma, di nuovo intirizzito senza la calorosa persona di Alina affianco.
Dunque non ha accettato. Perché? Deve avermi frainteso. Non vuole legarsi a un uomo. Sono troppo disperato per aiutare e anzi dovrei essere aiutato. Che la mia triste figura rifletta tanta disperazione? L’automobilista dalla triste figura. La notte è così nera, e i bagliori artificiali delle macchine sfreccianti, dei lampioni impalati ai cigli della strada come Alina e le sue colleghe, non fanno altro che evidenziare ancora di più la sua cupezza. Io la salvo: con questo stupido pensiero sono uscito di casa e mi sono messo al volante. Con questo stupido pensiero mi sono avvicinato a lei e l’ho fatta salire. Denis sta imparando ad andare in bicicletta senza le rotelle. Lui non sa e benedetta sia la sua ignoranza. Ma perché, perché volevo salvarla? Perché questo ridicolo slancio di misericordia? Almeno una buona azione… almeno una, per riscattare tutte le schifezze. Ma non posso riscattare niente, troppo alti gli interessi. La vita impone interessi da usuraio. Non potrò mai più essere pulito, e lei che nonostante tutto ha voluto fare l’amore. Chi è Paolo? Io non Enëa, io non Paulo sono. Siamo pietre che rotolano verso l’abisso e ogni tanto cozzano tra di loro scalfendosi. Impatti fortuiti e detriti che restano sulla strada fin quando una nuova pietra li trascinerà con sé nell’abisso. All’abisso non c’è scampo ed è questa l’ultima consolazione che ci resta. Possiamo accelerare la caduta. Sì, possiamo. E lo stiamo facendo, eccome se lo stiamo facendo. A cosa mi servono questi trenta denari? A sopravvivere qualche altro mese senza dover chiedere niente. Non ci si salva da soli, mai. Forse Alina nonostante tutto crede d’essere già salva. Si inganna? Ha rifiutato il mio aiuto. Sono inutile fino a tal punto. Mi sono voluto illudere per un’ultima volta di poter essere utile a qualcuno. È andata male e forse è meglio così. Forse domani mi sarei pentito, perché non conosce limiti la meschinità di un uomo e Alina lo sa bene. Deve averlo previsto. È finito qualcosa questa notte, per sempre. Ma è mai iniziato qualcosa? Basta essere divelti dal grembo materno per iniziare? No, non basta. Spiro ergo sum. No, non basta. Si può nascere e non iniziare mai. Ma se non si inizia allora non si può finire. Dunque? La morte non è la fine di niente perché la vita è niente. Che non riesca a obliarmi è un dato di fatto. Sarò costretto a restare ben presente a me stesso fino all’ultimo momento. Che coglioni. Mi è venuto pure il mal di testa. Tutti questi sbadigli non sono sintomo di sonnolenza ma proprio dell’emicrania. Non ho sonno, ma ho bisogno di dormire. I fiori infracidiscono per abbondanza d’acqua. So troppo, so tutto, ma ho un corpo troppo piccolo per contenere tutto l’immenso Nulla che sta prima e dopo di noi, insensate parentesi. Forse con un corpo come quello di Lele avrei sentito meno la fatica.
Carlo finalmente arriva a casa. Il tepore lo avvolge e distende i muscoli tesi dal freddo.
– Come mai così presto? – si informa il padre, ancora sveglio, stravaccato sul divano a guardare un film.
– Avevo freddo, – risponde Carlo liberandosi del giubbotto e appendendolo all’attaccapanni.
Prima di seppellirsi sotto le coperte, Carlo passa qualche minuto appiccicato al termosifone della sua camera da letto. Per quanto si sforzi, di spegnere il cervello proprio non gli riesce. Potremmo andare avanti per pagine e pagine, ma non ne vale la pena, credetemi. Nella testa di Carlo sono rimaste quattro o cinque idee ed è attorno a quelle che indugia prima di prendere finalmente sonno.

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Informazioni su Simone Germini

Classe 1989, dopo il diploma di liceo scientifico mi iscrivo alla facoltà di Lettere presso l'Università degli Studi di Roma La Sapienza, dove mi laureo nel luglio del 2015 con la tesi «Figlie della crisi. I personaggi femminili di Heinrich von Kleist», pubblicata sulla rivista «Le rotte - Il porto di Toledo». Sempre presso lo stesso ateneo, nel settembre del 2017, conseguo la laurea magistrale in Filologia Moderna, con la tesi «Con le parole guerra alle parole. Linguaggio e scrittura in Carlo Michelstaedter». Dal 2012 al 2018 sono stato caporedattore del blog «Freemaninrealworld». Insieme con Lorenzo Pica, Raffaele Rogaia e Marco Zindato ho fondato il sito iMalpensanti.it. Sul blog «Bazzecole» i maldestri tentativi di scrittura creativa. Per info e contatti simonegermini@yahoo.com.

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