Il peso dei legami – Prima parte – Mater dolorosa

Avanti e indietro, avanti e indietro, da una rotonda all’altra della Nettunense, dallo stabilimento della Granarolo alla stazione di Padiglione, settima fermata della linea ferroviaria Nettuno – Roma Termini, sesta a senso inverso, a una velocità di crociera moderata, scrutando con attenzione dai finestrini dell’auto il ciglio della strada. Allorquando il corpo rivendica i propri naturali diritti, a cadenza mensile, come una bolletta. Bolletta tutto sommato modesta. Il consumo mensile medio d’energia elettrica della vecchina che, vedova, vive sola in una casa piccola: dai venti ai trenta euro. A seconda del servizio e del paese d’origine. Da una parte le africane, giunte in questa zona di recente, dall’altra le europee, albanesi soprattutto.
Carlo osserva, confronta, analizza, valuta. Rapide indagini di mercato in tempo reale, relazioni, resoconti, report, zigzaganti grafici mentali. Donne vitruviane. Il denaro nelle tasche di un neolaureato non è molto. Vietato sbagliare.
Grazie a Dio c’è Alina. Battezzato, comunicato, cresimato. Certe cose ti restano dentro, te le porti fino alla tomba. Mai oltre.
Alina non è bella – l’estetica è roba per gente con la pancia piena, che ha una carriera avviata o anche solo una prospettiva nella vita -, ma ci sa fare, come nessun’altra. Si spoglia completamente, non finge, è sincera, o se finge finge bene, e ti permette molto. Lascia che le tue mani e le tue labbra errino libere, senza limite alcuno, per le sue lande desolate, e ne esplorino ogni anfratto, anche quello più recondito. Non mette fretta ed è persino affettuosa. Ride, nonostante tutto. Sono rare simili perle e spesso è complicato scovarle. Bisogna saperle scovare.
Carlo accosta, felice.
– Ciao, Alina.
– Andiamo? – domanda lei, speranzosa.
– Certo.
Alina adagia il suo corpo abbondante sul sedile della sgangherata Fiat Punto che Carlo divide con la sorella.
In fondo alla via, lì, in quel punto buio, al riparo da occhi indiscreti. A Cesare ciò che è di Cesare e a Dio ciò che è di Dio. A Cesare la pecunia, d’accordo, ma all’Altissimo? Tutto il resto ovvero il Nulla.
Carlo si getta, con una foga che rasenta la disperazione, sui generosi seni di Alina, morbidi e accoglienti come guanciali. Ne sugge le turgide estremità. Il resto, be’, potete immaginarlo da voi.
Rivestiti, Carlo e Alina se ne stanno seduti uno affianco all’altro, come una normalissima coppia di fidanzatini che riprende fiato dopo l’amplesso. Osservano delle fotografie sul cellulare di lei. Sorrisi. Carezze.
– Questo è mio figlio.
– Come si chiama?
– Denis.
– Quanti anni ha?
– Quattro.
– È bello come la mamma, – e Carlo depone un bacio sulla fronte ancora umida di Alina, che stringe forte la sua mano.
No, Carlo non è un cliente come tutti gli altri, non lo è mai stato. Al piacere antepone sempre l’umanità. Se tutti fossero come lui la prostituzione non esisterebbe più. L’uomo non esisterebbe più. Aver commesso tutti i crimini tranne quello di essere padre.
– È qui con te?
– No, è in Albania con il padre. Ogni tanto lo vado a trovare. Guarda, qui è quando è andato al mare per la prima volta.
Alina sorride e si commuove, gli occhioni neri le si inumidiscono di lacrime. Stringe la mano di Carlo in una morsa. Carlo le accarezza i capelli neri e si morde le labbra, fin quasi a farle sanguinare.
È materno l’amor che move il sole e l’altre stelle. Ricordalo, piccolo Denis. Una madre è pronta a tutto per il proprio figlio. È pronta a farsi schiava, a svendere il proprio corpo in un mattatoio a cielo aperto. Perdonami, piccolo Denis. Ma sappi che tua madre io l’ho amata davvero.
Squilla il cellulare di Alina. Lei risponde, infastidita. Discute con un uomo in un idioma sconosciuto a Carlo. È il suo protettore. Troppi venti minuti con un cliente. Per questo motivo Alina è stata redarguita e richiamata al suo posto nella catena di montaggio.
– Devi andare?
– Me ne frego. Prima finiamo di vedere le foto.
Quanto costerà ad Alina questa insubordinazione? L’intero incasso o solo uno schiaffo? O magari entrambe le cose? Il mondo è una gigantesca palla di merda che appesta l’universo, e noi scarabei stercorari su due zampe che sopra vi rotoliamo senza cadere mai.
Vorrei che le fotografie di Denis non finissero mai.
Ma le foto di Denis finiscono, ha appena quattro anni, e Carlo è costretto a ricondurre Alina al suo posto sul ciglio della strada.
– Tieni duro, Alina, almeno tu hai Denis. Pensa a lui. A presto.
– Ciao, Carlo.
E Carlo si reimmerge nel traffico della Nettunense. Si torna a casa, ma prima una sigaretta. Spalancati i finestrini, Carlo sbuffa fumo dal naso e dalla bocca. Sente una puntura in un punto imprecisato, indistinto del suo corpo, all’interno di esso. È il verme del rimorso. Accade sempre, e la peggiore delle volte è stata la prima, una fredda e piovigginosa mattina di gennaio, appena maggiorenne, il fango fino alle caviglie, dietro un cespuglio, con una schiava nera dalla pelle cicatrizzata. Una vergogna mai digerita.
Potessi condurti lontano da qui, Alina, giuro che lo farei. Potessi contribuire a rendere la tua sorte meno amara, giuro che lo farei. Dannato condizionale, il modo dei falliti. Evviva l’imperativo!, che non è realtà intesa ma vita.
Dapprima punge poi inizia a rodere il verme, penetrando in profondità.
Mi saresti sconosciuto se avessi una donna.
Sì, forse, ma una donna non ce l’hai.
Bada, tenterò.
Tu? Ah, ah, ah!
E rode, rode, rode, e scava, scava, scava, e smangiucchia, benché sazio, viscido bigattino invertebrato.
Carlo lancia quel che resta della sigaretta per la strada. Il mozzicone tocca l’asfalto e brilla per un’ultima volta prima di spegnersi. Stella cadente fuori stagione. Chissà se chi sta dietro ha espresso un desiderio. Nel niente ci si aggrappa a tutto.
Se lo scoprissero? Non capirebbero. Ma la mia situazione è disperata, direi loro. Non cambia niente, l’uomo ha dei limiti oltre i quali non può andare. Ricordi cosa hai scritto dopo aver letto Se questo è un uomo? Sì: «Un’amara constatazione. Leggendo Se questo è un uomo ho avuto ancora una volta la conferma che, per quanto possa essere sviluppata in un uomo l’empatia, egli non riuscirà mai a capire fino in fondo l’altrui sofferenza. Il dolore, qualunque dolore, è necessario viverlo in prima persona per comprenderlo. Per questo motivo i celebri versi posti in epigrafe da Levi (“Voi che vivete sicuri / Nelle vostre tiepide case…”), e in particolar modo il conclusivo anatema (“O vi si sfaccia la casa, / La malattia vi impedisca, / I vostri nati torcano il viso da voi”), possono forse sfiorarci, ma non colpirci. E credo che Levi stesso lo sapesse». Ma basta, basta.
Carlo alza il volume dello stereo, lasciandosi stordire della musica, e accelera. Sorpassa un’auto, una seconda, una terza. Ne ha abbastanza della sua voce. Ma dura poco.
La coscienza del mondo – una tale considerazione della donna eppure… praticare bene ma razzolare male, sei come un prete, vecchio mio – ridotta in schiavitù per amore di suo figlio. Spedita in un paese che non è il suo. Ne avrà sentito parlare, certo. Forse ne avrà letto da bambina sui libri di scuola e ne avrà osservato il profilo dalla costa in un giorno limpido, senza foschia. Si aspettava tutt’altro. Un tempo credevo che le cose sarebbero potute cambiare. Anarchia: Étienne de La Boétie, Henry David Thoreau, Lev Tolstoj. E si può essere anarchici solo avendo una fiducia immensa nel genere umano. È come se si fosse aperta una fessura nel Nulla, ma troppo piccola perché potessi infilarmici. Si è richiusa presto. Non cambierà mai niente. Da sputarci sopra e andarsene. Ma ci vuole coraggio. Quel coraggio che io non ho, non ho mai avuto. Ho davanti agli occhi il volto di mia madre se dovessi trovarlo. Mater dolorosa. Non me lo perdonerei mai, nonostante il suo, il loro peccato originale: avermi originato. Sono stati sfortunati, capita. Cristo, sacrificio, sacrificio ovvero suicidio. Ma quella è tutta un’altra storia. Il cadavere di Lazzaro gonfio d’acqua, sfigurato. Il colore della pelle di nuovo cadaverico come quand’era un rispettabile professore borghese. Ironia della sorte. Ironia della morte.
– Come si può vivere pensando tutti i giorni alla morte? – mi domandò una sera Lele, lui Dedalo io Orfeo senza mai un’Euridice verso cui voltarmi.
Io vivo così, ma non glielo dissi. Temevo che non mi avrebbe capito. Del resto, quei pochi che potrebbero capirmi sono tutti morti.
Ci rivedremo presto, Alina.

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Informazioni su Simone Germini

Classe 1989, dopo il diploma di liceo scientifico mi iscrivo alla facoltà di Lettere presso l'Università degli Studi di Roma La Sapienza, dove mi laureo nel luglio del 2015 con la tesi «Figlie della crisi. I personaggi femminili di Heinrich von Kleist», pubblicata sulla rivista «Le rotte - Il porto di Toledo». Sempre presso lo stesso ateneo, nel settembre del 2017, conseguo la laurea magistrale in Filologia Moderna, con la tesi «Con le parole guerra alle parole. Linguaggio e scrittura in Carlo Michelstaedter». Dal 2012 al 2018 sono stato caporedattore del blog «Freemaninrealworld». Insieme con Lorenzo Pica, Raffaele Rogaia e Marco Zindato ho fondato il sito iMalpensanti.it. Sul blog «Bazzecole» i maldestri tentativi di scrittura creativa. Per info e contatti simonegermini@yahoo.com.

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