Il peso dei legami – Prima parte – Cuscini svedesi

Sveglia, come di consueto, alle sette e trenta. Ma Carlo apre gli occhi prima. La testa gli rimbomba, sembra che qualcuno gliela stia prendendo a picconate. Accade sempre più spesso. Che il problema sia il cuscino? O forse un ultimo neurone ribelle tenta di aprirsi un varco fracassando il cranio?
– Dovrei comprarti uno di quei cuscini svedesi. A me sta dando una grande mano, – parola di madre sofferente di cervicale. Tale madre tale figlio. Potrebbe essere davvero la soluzione, ma spendere tutti quei soldi. Che poi Carlo potrebbe pure comprarselo da solo. Ha racimolato un gran bel gruzzolo grazie alla laurea. Ma no, prima o poi passerà.
Salutare svuotamento della vescica urinaria e apertura accorta della persiana della camera da letto. La madre e la sorella di Carlo dormono ancora, sarebbe un delitto svegliarle. Il padre invece è già fuori di casa. Non ci sei mai, non ci sei mai stato, quante volte gli è stato rimproverato. Le donne finiscono per pretendere sempre troppo dagli uomini.
M’illumino d’immenso. No, non questa mattina. Una spessa coltre di nebbia avvolge la campagna come un mantello. L’aria fresca punge il corpo ancora caldo di Carlo. Attenua il mal di testa.
Ancora qualche minuto e scomparirà del tutto. Eh, mica è stato così semplice l’altro ieri. Un’emicrania talmente forte, talmente testarda da vomitare. Per fortuna avevo lo stomaco vuoto. Un fiume di inutili succhi gastrici e nient’altro. Ma fu un rigurgito prodigioso. Via i liquidi e con loro il mal di testa. Prendi nota. La prossima volta due dita in gola, qualora l’emicrania fosse troppo forte e il senso di nausea tardasse ad arrivare. Rimedio naturale. Meglio di un antidolorifico che ti buca lo stomaco. Ponzio Pilato avrebbe dovuto pensarci. Dio che romanzo Il Maestro e Margherita. Il più sorprendente che abbia mai letto. E dovrei rileggerlo.
Gli occhi annacquati di Carlo cadono sul ciliegio che sta proprio di fronte la finestra della sua camera da letto.
Ottobre inoltrato e i ciliegi sono di nuovo in fiore. Mistero buffo. E tragico. Non deve mancare poi molto. La pazienza terrestre ha un limite. Vorrei potermi godere lo spettacolo. Prima devastano e poi frignano.
Carlo si cambia e posa il culo secco sulla soffice sedia della scrivania.
Come posso svegliarmi stanco? È che ormai mi trascino avanti a forza. Questo è.
Necessita già di luce artificiale. Carlo disse: «Sia la luce!». E tac, la luce fu. Prima di proseguire nella ri-lettura dell’«epica del corpo umano», nel tentativo di dare corpo all’idea che essa segni il limite estremo della letteratura oltre il quale è il silenzio, Carlo getta uno sguardo tristemente ironico a ciò che gli sta davanti, appeso al muro: la corona d’alloro, le cui foglioline d’ombre scure s’iniziano a velare, e le pergamene di laurea incorniciate.
Un sorriso senza pensare.
La letteratura gli ha rovinato la vita e lo sa. Perché Carlo non conosce mezze misure. O bianco o nero. Per tutta la vita ha voluto che non fossero solo parole. Eppure persevera. Chi è causa del suo mal pianga se stesso. Ma la fonte di lacrime si è prosciugata da tempo, e in fondo Carlo non è un tipo incline all’autocommiserazione. Almeno questo gli va riconosciuto.
La nebbia si dirada, riga dopo riga, e la luce del sole torna a farsi largo fin sulla terra umida. Altro che autunnali tappeti di foglie. Le foglie resistono aggrappate ai rami. Se cadono è solo per qualche improvviso colpo di vento.
Carlo trangugia parole. Parole scricchiolanti tra i denti come i cereali che mangia la madre a colazione. La madre, svegliatasi senza mal di testa, lei, grazie al taumaturgico cuscino svedese ordinato per telefono e alle cure della fisioterapista. Se ne va così l’assegno mensile di disoccupazione generosamente offerto dall’Istituto nazionale della previdenza sociale.
– Com’è andata con il cuscino? – si informa la madre di Carlo dopo aver spalancato tutte le persiane.
– Bene, – mente Carlo, spudoratamente.
– Hai già fatto colazione?
– No.
– La facciamo insieme?
– Va bene.
L’unico luogo al mondo dove Carlo non si senta a disagio è casa sua. Cionondimeno a ventotto anni la convivenza con i genitori inizia a pesargli. È fisiologico, glielo ha detto anche la ragazza di Lele.
Il nido muta in prigione. E la prigione è vera prigione quando non si ha neppure la minima speranza di evadere.
La madre cereali, Carlo un cornetto integrale del giorno prima. Gli sguardi incollati al televisore. Carlo guarda ma non vede, ascolta ma non sente. Afferra qua e là un nome, una parola.
McDonald Trump. Kim Jong-un. Tipi ideali per una farsa di burattini. Smog. Torino. Record. Divieto di aprire le finestre. Pure. Chi si ricorda ancora di Aylan, del suo cadavere minuscolo spiaggiato sulle coste dell’Ellade? Giusto il tempo di essere diffuse e discusse – un paio di giorni di ipocrita indignazione e vaniloquio -, poi le notizie precipitano in quell’immensa e olezzante discarica che è la Storia e chi s’è visto s’è visto. Chi l’ha visto?
Si sveglia anche la sorella minore di Carlo, Lucia. Ha lasciato l’università da due anni ma niente, la madre non si rassegna. Questo stramaledetto vizio dei genitori di riversare le loro aspirazioni sui figli. Una storia vecchia come il cucco, sì, trita e ritrita, ma che si rinnova ogni qualvolta viene al mondo una nuova creatura. Ogni minuto? Ogni secondo? Una delle innumerevoli stranezze dell’uman genere.
– Vedi, io prenderei questo, in piuma d’oca, – e la madre illustra a Carlo il depliant dei cuscini svedesi.
– Ma costano troppo, mamma, lascia perdere. Con il cuscino di Lucia va meglio, – si oppone Carlo.
Ma dormire senza cuscino no? Irene dormiva senza cuscino e io con lei per due notti. Non si stava affatto male. Ma forse perché avevo lei accanto. Eh… con una donna accanto passa tutto.
A metà mattina, una mattina ormai del tutto limpida, caffè e sigaretta.
– Mm… che buono… – si complimenta la madre con Carlo.
Carlo in cucina è un disastro, ma è capace di fare un caffè strepitoso. Con la moka, vecchio stile.
E poi di nuovo giù a sgranocchiare parole fino all’ora di pranzo. Un piatto di pasta. E con la madre c’è anche il padre. Non la sorella. È andata a lavorare, lei. In nero, tra l’altro. Di nuovo caffè. Il padre torna a lavoro, la madre va dalla fisioterapista.
Carlo resta solo. E una cosa commuove Carlo quando resta solo. Egli osserva tutto ciò che lo circonda come se non fosse più di questo mondo. Uno spettro tornato da chissà dove a visitare i luoghi familiari. Un lemure. Carlo prova in questi casi una malinconica nostalgia. Pensa ai genitori, alla sorella, alla gatta, alla casa, alla campagna come se li avesse perduti per sempre.
Io non sono più una cosa viva, ma da tempo ormai. Definirmi non so: vivo morto o morto vivo? Cambia forse qualcosa?
Questa sensazione di distacco post mortem, in fin dei conti piacevole, va in frantumi quando torna a casa un componente della famiglia. Ma c’è anche qualcos’altro di inusuale che accade a Carlo quando è solo. Di colpo rivede se stesso. C’è il se stesso bambino, che gioca sul pavimento, sulla vecchia coperta a scacchi rossoblu davanti alla finestra, con i soldatini di plastica, trucidandoli. E c’è il se stesso adolescente, che invece, sdraiato sul letto, ascolta musica struggendosi per lei, Marta, la prima. Il Carlo attuale gioca con il piccolo e compatisce l’innamorato, il quale, di tanto in tanto, lo guarda e sembra implorarlo: dimmi che finirà bene. Finirà… ma l’attuale distoglie lo sguardo.
Marta, rimembri ancora quella notte di luna piena nell’italico nordest… Ma quando mai. Lei oggi: laurea in scienze del turismo più master di primo livello, un lavoro a Londra e un uomo con il quale inizia a parlare di matrimonio e di un figlio. Tu? Stendiamo un velo pietoso.
Se ne stanno così, tutti e tre, nella loro camera da letto. L’adolescente sembra infastidito dai suoni che emettono il piccolo e l’attuale imitando i fragorosi boati delle esplosioni. Proiettili. Granate. Bombe sganciate dagli aeroplani. Un tappeto di morti e macerie. Piccoli cadaveri di plastica. Costruzioni sparse.
All’improvviso squilla il citofono. L’attuale si incammina verso il portone, e il piccolo lo segue, mentre l’adolescente se ne frega. Prima di rispondere sbirciano dalla finestra della cucina, circospetti, senza farsi vedere.
– Chi è? – sussurra il piccolo con prudenza, a bassa voce.
– Nessuno, – risponde l’attuale, – torniamo in camera a giocare.
Era quel poveraccio di Carlo Ottaviani a quarant’anni. Completamente calvo, curvo, un’inestinguibile espressione di paura sul volto cadaverico.
Non me ne volere. E non farne una questione personale, ti prego. È che con te non voglio proprio avere niente a che fare.
L’altro ieri, ieri, oggi, domani. Mamma, papà, quanti figli avete avuto? E tu, Lucia, quanti fratelli? Ogni età dell’uomo è una vita. Ogni vita è una successione di età. Ogni vita è una successione di vite.
Il pomeriggio Carlo scrive. Di tanto in tanto è costretto a fermarsi, quando la mano destra gli duole. Perché stringe la penna quasi temesse una sua fuga, e l’inchiostro lo spreme come dentifricio dal tubetto. Mentre lavate i denti chiudete l’acqua, dice il saggio.
Giunge il tramonto, cala l’umidità. Carlo rinserra le persiane, poi doccia e cena. La famiglia questa volta è al completo. Si chiacchiera, mentre sottofondo scorrono le notizie.
Catalogna, Spagna, indipendenza, Puigdemont, Rajoy. Gentiloni, Padoan, assunzioni, giovani, Renzi, Grillo, Silvana, Berlusconi. Se la smettessimo di parlarne non esisterebbero più. Sono narrazioni. E poi vieni a chiedermi qualcosa. Ti faccio vedere io. Inquinamento, Torino, Appendino, Chiamparino, spazio. Como, padre, incendio, quattro bambini morti, disperazione. Solo i bambini meritano di essere pianti. Dovreste pensarci mille volte prima di fare un figlio. Incoscienti. Egoisti.
Venerdì sera, si esce in compagnia. Al solito locale in via Carlo Cattaneo. Carlo attende l’arrivo di Nino, operaio alla fabbrica della Palmolive, e Rico, studente al quarto anno di medicina, gli ultimi due amici che gli sono rimasti. Gli altri sono sparsi qua e là per l’Italia e per il mondo. Ma sabato prossimo si ritroveranno tutti, all’evento dell’anno: le nozze di Toni, il primo a ricevere il sacramento matrimoniale. Attende Carlo, seduto sugli scalini della libreria che sta proprio di fronte al locale, in una posizione insolita, di traverso, con la schiena appoggiata al muro, le gambe distese.
– Come mai questa posizione? – si informa Nino, giunto come al solito con venti minuti di ritardo.
– Volevo appoggiare la schiena, – spiega Carlo, sigaretta in mano, tra un tiro e l’altro.
– Beh, perché in questi giorni te la stai spaccando, – nota con ironia Nino.
Gli amici sono sempre i primi ad affondare il coltello nella piaga. Ricorda le parole di Lazzaro. C’era una folla ai suoi funerali al Santuario di Nostra Signora delle Grazie e di Santa Maria Goretti. Sepolto accanto alla moglie. Chissà se avessero saputo ciò che so io: che Lazzaro s’è ammazzato e non è stata una «tragica fatalità». Gli avrebbero tributato gli stessi onori? Ma sì, in fondo era solo un povero pazzo, nella cui mente obnubilata il suicidio rappresentava il mezzo più economico per accelerare l’ascesa verso il Signore.
– È che sto curvo tutto il giorno, – prova a giustificarsi Carlo, punto nel vivo.
– No mi diventerai mica come Leopardi, – lo redarguisce Nino.
Secondo gli studi antropometrici effettuati da Angelo Zuccarelli nel 1900, Giacomo aveva una statura compresa tra 1 metro e 40 e 1 metro e 45 centimetri, e aveva una doppia gobba, anteriore e posteriore. Ma ne è valsa la pena. Fu la mia migliore performance. Un’ora di colloquio serrato con la professoressa Bolognese. La ginestra, anche se non era in programma, le Operette morali, il più grande libro della storia della letteratura italiana dopo la Commedia – che è altro, e rispetto non solo a ciò che è stato scritto, ma anche solo pensato nella storia dell’umanità -, e soprattutto i Paralipomeni della Batracomiomachia, granchi contro topi. Mi dica, Carlo, si ricorda cosa scrive Leopardi nella carta numero 14 dello Zibaldone, a proposito della natura e della ragione? Certo: «la natura è grande, la ragione è piccola». Prima di diventare «empia madre». Sciorinavo una citazione dietro l’altra, e lei colpita. Trenta e lode: grande soddisfazione, enorme. E ora? Cosa resta ora?
Nel giro di un’ora via Carlo Cattaneo si intasa. L’eco della musica che all’interno del locale risuona ad alto volume, in strada è attutita dall’ininterrotto chiacchiericcio. Fluttuano a mezz’aria nuvolette di fumo che faticano a disperdersi a causa dell’umidità. Giunge una volante della polizia e la folla si apre a metà come il mar Rosso al cospetto di Mosè e del suo popolo. La gazzella incede a passo d’uomo accompagnata da ghigni maligni, passa oltre e la folla si richiude. Carlo lancia sguardi supplichevoli, sguardi che se avessero un corpo starebbero in ginocchio, come mendicanti imploranti uno straccio d’elemosina, a ogni gentile donzella che attraversa il suo campo visivo.
Quanta abbondanza, quanto ben di Dio, e tu ne sei escluso. Guardare ma non toccare. Se almeno passasse Lei… Quando la vedo è come se tornassi a vivere. Deve avermi perdonato del tutto. Una seconda possibilità, non chiedo altro. Accetterà? Sembra ben disposta. Se non questa sera, sabato al matrimonio del cugino. Sarà anche il suo compleanno. Ho bisogno di non pensare e lei riesce a non farmi pensare. Fui uno sciocco allora. Era mia e me la sono lasciata scappare. Ma l’ho sempre desiderata.
– Stamattina bella lezione di patologia. La tubercolosi non attacca solo i polmoni, pensa te, ma anche altri organi, tra i quali il cervello, – spiega Rico con entusiasmo.
Iposurrenalismo. Iposurrealismo? Visioni mistiche. Tentazioni e trasfigurazioni. Angeli e demoni. Rose dei beati. Dio. Solo una luce. Neon o led?
Scocca l’una e Carlo taglia la corda, senza averla vista. Al volante della sua auto fende a gran velocità i banchi di nebbia.
Magari mi… Prega il Caso. Speriamo bene stanotte. Certo, se avessi un cuscino svedese…

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Informazioni su Simone Germini

Classe 1989, dopo il diploma di liceo scientifico mi iscrivo alla facoltà di Lettere presso l'Università degli Studi di Roma La Sapienza, dove mi laureo nel luglio del 2015 con la tesi «Figlie della crisi. I personaggi femminili di Heinrich von Kleist», pubblicata sulla rivista «Le rotte - Il porto di Toledo». Sempre presso lo stesso ateneo, nel settembre del 2017, conseguo la laurea magistrale in Filologia Moderna, con la tesi «Con le parole guerra alle parole. Linguaggio e scrittura in Carlo Michelstaedter». Dal 2012 al 2018 sono stato caporedattore del blog «Freemaninrealworld». Insieme con Lorenzo Pica, Raffaele Rogaia e Marco Zindato ho fondato il sito iMalpensanti.it. Sul blog «Bazzecole» i maldestri tentativi di scrittura creativa. Per info e contatti simonegermini@yahoo.com.

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