Lei non è mai stata così viva e presente come adesso, mesi e mesi dopo il suo addio. Il suo ricordo mi tormenta ininterrottamente, senza tregua, come le Erinni tormentano Oreste, e ha una consistenza materiale, tangibile. È sempre davanti ai miei occhi e posso toccarla. È come se si fosse sdoppiata, come se il mio amore disperato avesse creato una nuova Lei, che è dentro e fuori di me, non meno reale dell’originale. A fatica sostengo la presenza di chi ha un legame con Lei, di chi la vede tutti i giorni oppure, semplicemente, me la ricorda. Da quando Lei non c’è più, consapevolmente almeno, la mia esistenza è cambiata. Il suo dolorosissimo addio è stata la pietra tombale sulla mia vita, divenuta una notte senza fine, priva di qualunque bagliore rassicurante. Non credevo che un legame, peraltro al quale non chiedevo altro che una vicinanza spirituale, potesse annientarmi in questo modo, incenerirmi, ridurmi in fumo. Per questo motivo sento a me così vicino il Demone di Lermontov, risorto dall’amore e distrutto dalla separazione. Io stesso, come il personaggio lermontoviano, ho fatto un ultimo, disperato tentativo e sono stato sconfitto. Una sconfitta definitiva, senza possibilità di riscatto, che mi ha reciso definitivamente le palpebre e svuotato del tutto, rendendomi ancor più solo e disperato di prima.
A volte con tutte le energie del mio essere la invoco, la prego di farsi viva, di mandarmi un cenno, un messaggio, ma Lei deve avermi già dimenticato. La verità è che per Lei sono stato soltanto un’illusione, svanita presto, e che nella sua vita non sono stato altro che un intruso, un parassita. Non posso cancellare la nostra storia, che mi tormenterà fino all’ultimo dei miei giorni, ma se potessi tornare indietro la eviterei, ignorerei la sua voce, la sua cura, la sua stima. Avrei dovuto prevedere tutto questo. Non me lo perdonerò mai.
