I taccuini di Tarrou – 66

Affrancarsi dai pregiudizi, dai luoghi comuni, dalle convenzioni sociali, dalle cattive abitudini, spezzare le catene che imprigionano l’individuo dall’istante in cui viene messo al mondo, cercando la propria verità, la propria libertà, facendo della vita la propria vita, facendo del mondo il proprio mondo – dovrebbe essere questo il dovere morale di ogni uomo. Ogni uomo, in ogni condizione, nasce con una coscienza propria, dunque ha la possibilità di emanciparsi, di ribellarsi e liberarsi. Non farlo è una scelta. Ogni destino individuale è una scelta.

Ma ciò che fanno o non fanno gli altri non ha più alcuna importanza per me. Io libero e salvo me stesso, perché ognuno è il primo e l’ultimo, perché questo mondo svanirà con me e allora niente avrà più importanza. Per anni ho cercato una compagna di vita che mi accompagnasse e mi sostenesse in questo doloroso, faticoso processo di affrancamento e liberazione, ma non è questa la mia strada. La mia strada è fatta di solitudine e di disperazione, di sofferenze e di fatiche concentrate tutte in un punto, tutte in un corpo, prosciugato dallo sforzo quotidiano. Mi assottiglio ogni giorno di più, ogni giorno mi alleggerisco di qualche grammo, come se il mio fisico, impegnato in una tensione permanente, divorasse se stesso. Mi sto lentamente dissolvendo, in una sorta di decomposizione in vita che, subita una violenta accelerazione qualche mese fa, innescata dalla delusione, non si arresta. Anche quando dormo, o meglio, sembro dormire, mi consumo in fretta, brucio energie che non ritroverò più. Il corpo rincorre la tensione morale, cerebrale in una corsa forsennata e sfinente. Per quanto tempo ancora riuscirò a resistere?

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