Ci sono attimi in cui il peso dell’esistenza diviene davvero schiacciante e allora non si cammina, si striscia. L’essere-in-vita non è più permanenza, non è più resistenza, ma pura sopportazione. In questi istanti terribili, maledetti, che ogni uomo, per quanto inconsapevole, conosce, o quantomeno intuisce, la tentazione di abbandonare tutto e andarsene è così forte, così seducente da sembrare la più naturale del mondo. Il problema è che di questi attimi non si fa tesoro, ma si rimuovono in fretta, troppo in fretta e tutto torna come prima, come se niente fosse stato. Su questi attimi terribili dovremmo fondare la ribellione contro noi stessi, contro il nostro mondo e i suoi pregiudizi, i suoi luoghi comuni, ma la rimozione, uno dei principali e peggiori mali del nostro tempo, ha sempre la meglio. È di ciò che rimuoviamo, perché ci fa paura, perché sgretola dalle fondamenta le nostre fragili, illusorie, inutili vite, che dovremmo avere maggiore memoria, per trovare nella morte la pace.