I taccuini di Tarrou – 404

Questa notte ho sognato Lei. Per la prima volta mi ha ignorato. Ho provato un dolore così forte e profondo da perdere il sonno. So che mi accompagnerà per tutta la giornata, rendendola ancor più complicata e dura del solito.

Io e Lei siamo come due rette perpendicolari che si sono incontrate in un punto. Per Lei quel punto d’incontro è stato soltanto un passaggio, uno dei tanti passaggi della sua vita, di cui ormai non serberà neppure più il ricordo. Per me è stato uno schianto, la fine della mia traiettoria, il dolore permanente, la morte, il cui ricordo mi torturerà fino all’ultimo dei miei giorni.

La fine della nostra storia significa che per me al dolore, alla solitudine, alla disperazione, all’insensatezza e al nulla non c’è scampo. Non sono stato io a scegliere la morte. È stata la morte a scegliere me.

È colpa mia se l’ho perduta. È mia la responsabilità di tutto il dolore scaturito dalla nostra separazione. Di ciò che Lei mi ha donato ho compreso il valore inestimabile, ma non ho saputo accontentarmene, come sempre. Le ho chiesto di seguirmi su una via che Lei non poteva seguire; le ho chiesto di darmi ciò che Lei non poteva darmi. Ho voluto, forse persino preteso, molto più di quanto fosse nelle sue forze e di quanto, soprattutto, io stesso meritassi. La fine della nostra storia mostra tutti i miei limiti nella comprensione dell’altro, tutta la mia inadeguatezza e tutta la mia tracotanza. Avrei dovuto semplicemente ringraziarla per tutto ciò che aveva fatto per me, per la sua presenza miracolosa nella mia vita, e invece ho tentato di trascinarla nel mio abisso, sperando che me ne tirasse fuori, che mi salvasse. Ho forzato i limiti e ho distrutto tutto. Non c’è niente di bello, niente di buono, di positivo, di luminoso che duri a lungo nella mia vita. Prima o poi la mia natura insaziabile e smisurata finisce per travolgere e spazzare via tutto. Il caso mi aveva fatto dono di un tesoro dal valore inestimabile, nonostante la crudeltà della vita, e io non sono stato capace di conservarlo, di prendermene cura. La mia natura lo ha dissipato in un istante. Quando un uomo è causa dei suoi mali non esiste che un rimedio: uccidersi. E la cosa più giusta e onesta è farlo dopo essersi mortificati fino alla sfinimento, ma la mortificazione richiede un coraggio comune forse a pochi uomini. Un coraggio che non ho mai avuto e che, credo, non avrò mai. Sono condannato a morire nell’ingiustizia e nella disonestà.

Mi sono sempre definito un uomo consapevole e coerente, ma inizio ad avere il sospetto – terribile – di essere soltanto un uomo debole e malato.

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