I taccuini di Tarrou – 400

Con le dovute proporzioni, Jarno sta al Meister come Mefistofele sta al Faust. Jarno è la negazione, la coscienza critica, cinica, beffarda, pessimista, talvolta persino nichilista del Meister. Ciò che Wilhelm, deluso e amareggiato dalle sue esperienze artistiche, nel terzo capitolo del libro settimo, descrive con «crudeli pennellate», non è per Jarno il teatro, ma il mondo. Non gli attori ignorano se stessi, non gli attori sono incoscienti, meschini, poveri di spirito, egoisti, divisibili tra sregolati e sciocchi, ma gli uomini. Il gesto che meglio di ogni altro rappresenta Jarno, è il suo riso offensivo, corrosivo, distruttivo, che tutto dileggia e sgretola dalle fondamenta. Non riconosce un solo merito al genere umano, Jarno, sul quale ironizza con maligna spietatezza e soddisfazione. Il suo riso è il riso di Sileno quando rivela a re Mida la terribile verità sull’uomo.

Come l’opera di Nietzsche è una forma di resistenza alla terribile verità di Sileno, l’opera di Goethe è una forma di resistenza alla cupa visione del mondo e della vita degli Jarno. Fiducioso nell’uomo, nella sua perfettibilità, nel suo progresso culturale e spirituale, Goethe sostiene con fermezza e convinzione la possibilità di un’alternativa all’insensatezza e al nulla, dunque, fondamentalmente, alla morte: Mefistofele viene sconfitto, Faust, Margherita e Ottilia si salvano, Jarno viene assorbito dalla Società della Torre. Goethe concepisce un’alternativa di luce, misura, arte e umanità al buio, al radicalismo, alla distruzione e al cinismo della morte. Un’alternativa che, ripresa da Mann, verrà brutalmente violentata dalla Storia. Nell’arte è possibile un trionfo della luce, un suo grandioso riscatto, nel mondo no. Nel mondo è sempre la visione terribile dei Mefistofele e degli Jarno a imporsi come la sola possibile.

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