I taccuini di Tarrou – 393

Chi sono io? Un uomo che, mentre ripara il tetto oppure lavora la terra, pensa all’abiura di Galileo…

Nella rinuncia di Galileo ho sempre visto un vile tradimento del proprio pensiero, dunque di sé, e un pauroso attaccamento alla vita, soprattutto se paragonata alla coerenza feroce e coraggiosa di Giordano Bruno. Inizio a pensare di essere stato troppo severo. Evidentemente Galileo, come scrive Camus nel Mito di Sisifo, credeva che valesse la pena vivere, nonostante tutto, e in base a questa valutazione ha orientato le proprie scelte. Inoltre non bisogna mai dimenticare il nodo fondamentale della vicenda: tradimento o meno, paura o meno, Galileo è e resterà per sempre la vittima di uno dei regimi più repressivi e oscurantisti di sempre: la Chiesa di Roma.

Ad ogni modo, Bruno è un’altra cosa. Bruno è una delle nature estreme più luminose mai esistite, e se preferisce morire piuttosto che rinnegare le proprie idee, è perché per lui le sue idee sono vita. Un’esistenza senza di esse non sarebbe stata possibile per lui, rinnegarle avrebbe significato rinnegare la propria esistenza, avrebbe significato, di fatto, suicidarsi. Le nature estreme non hanno idee, sono esse stesse quelle idee, danno loro la vita, la propria vita, danno loro un corpo, il proprio corpo, danno loro una voce, la propria voce. Per distruggere il pensiero di una natura estrema, perennemente tesa tra il tutto e il niente, tra il bianco e il nero, tra il caldo e il freddo, è necessario distruggere la sua vita, il suo corpo, la sua voce, e talvolta non basta, se al radicalismo individuale si associa una mente geniale, come nel caso di Giordano Bruno.

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