Una donna di trentasette anni lascia la sua bambina, di diciotto mesi appena, da sola a casa per una settimana: la piccola muore.
Qual è la ragione di questo crimine barbaro, che mai nessuna pena potrà riscattare? Il desiderio di libertà… Perfettamente lucida, fredda e razionale, la donna ha dichiarato di volersi riappropriare della propria libertà: per questo motivo ha lasciato la bimba, di nome Diana, a Milano, e se n’è andata in provincia di Bergamo, dal suo compagno. Non era la prima volta che lo faceva, che lasciava sola la figlia, e ha detto che sapeva che prima o poi sarebbe successo.
Ora, esprimere giudizi su questa terribile storia è complicato, e in fondo non servirebbe a niente. L’ho riportata nei miei taccuini soltanto come l’ennesima testimonianza della sconfinata bestialità del genere umano, dalla quale neppure una donna, neppure una madre è al riparo. Evidentemente non tutte le donne nascono per essere madri, come non tutti gli uomini nascono per essere padri, e quando a una di queste donne capita di diventare madre è un disastro, come se al nuovo nato non bastasse il dolore di esistere.
Penso al compagno della donna, al quale lei aveva detto di aver lasciato la bambina con la sorella. Se fossi in lui non potrei, non riuscirei a sopravvivere al senso di colpa. Mi sentirei responsabile della morte della piccola Diana. Come si possa avere una relazione con una donna di questo tipo, che certamente ha dato segnali della propria brutalità, della propria bestialità, non riesco a capirlo. Il fatto è che non sappiamo più spingerci oltre l’apparenza, guardare una persona in profondità e conoscerla davvero. Riempiamo le nostre vite di sconosciuti, accontentandoci di ciò che ci rifila il caso. Non sappiamo più vedere, comprendere e scegliere. È questa la triste e drammatica verità. Scegliamo sempre la via più semplice, immediata e generiamo tragedie. Come se la vita, l’esistenza non fosse di per sé una tragedia.