I taccuini di Tarrou – 312

C’è un solo rimedio alla sensibilità, quella sensibilità potenziata, esasperata ed esasperante, che trasforma ogni ferita superficiale in un colpo mortale, che fa di ogni piccola preoccupazione una malattia inguaribile, che appesantisce l’esistenza fino a renderla insostenibile e avvelena i rapporti umani, come mostra Dostoevskij meglio di ogni altro scrittore nelle Memorie dal sottosuolo: la solitudine.

Se vuole preservare se stesso da sofferenze ulteriori, l’uomo sensibile deve restare solo, recidere quanti più legami possibili e resistere alla tentazione, naturalmente sempre vivissima, di stringerne di nuovi. In questo modo almeno non resterà deluso dagli altri, ma soltanto da se stesso.

Questa sensibilità straordinariamente sviluppata agisce come una vera e propria malattia sull’individuo, e richiede rimedi drastici: fare il deserto attorno a sé, diventare una fortezza inespugnabile per gli altri è il più efficace, anzi, il solo davvero efficace, secondo la mia esperienza personale. L’uomo sensibile deve sforzarsi di prevenire, e più passa il tempo, più questa operazione di prevenzione diventa necessaria: superati i trent’anni, dunque esauritesi tutte le energie e le speranze giovanili, curare la sofferenza e superare la delusione diventa estremamente complicato e faticoso; le possibilità di andare oltre, di sostenere il peso del dolore e resistere si abbassano drasticamente, e allora è altissimo il rischio di soccombere.

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