Quando penso a Cristina provo una profonda tristezza. La sua condizione è davvero terribile e mi dispiace di non poter fare nulla per migliorarla. D’accordo, ci si abitua a tutto, e la capacità di sopportazione e adattamento di un uomo talvolta è stupefacente, ma deve essere tremendo concedersi a comando, fare sesso ogni volta che un cliente ne ha voglia. Vorrei liberarla da questa schiavitù, e senza chiedere nulla in cambio, davvero. La immagino nella sua stanza e mi appare come un meraviglioso uccello in gabbia. Vorrei poterle dare tutto ciò di cui ha bisogno e dire: va’, Cristina, sei libera finalmente.
Per quanto Cristina possa resistere, per quanto possa proteggere e preservare il suo spirito dal dolore e dalla depravazione, il peso della sua condizione si riflette inevitabilmente sul suo volto, solcato da rughe precoci e profonde, che la stanno appassendo prima del tempo. Di certo agisce una componente genetica (durante il nostro ultimo incontro Cristina mi ha fatto vedere una foto di sua madre, che dimostra molti più anni di quelli che ha), ma il suo stato accelera spaventosamente il processo d’invecchiamento, e forse senza che lei se ne renda neppure conto. Sta perdendo la sua freschezza, la sua giovinezza, la sua bellezza Cristina, e io mi sono reso colpevole di questo orrendo delitto. Fortunatamente lo spirito è ancora intatto, mantiene viva la sua luce. Mi auguro per lei che sia una luce di mezzogiorno, vivida e abbagliante, resistente e forte, non la luce tenue, agonizzante del crepuscolo che annuncia la notte.