I taccuini di Tarrou – 240

Nelle opere di Dostoevskij ci sono delle frasi che, in poche parole, compendiano e illuminano il senso del dramma dei personaggi. Alcune di queste frasi le ho già riportate in questi taccuini, come «io son poi da solo, e loro sono tutti», dell’uomo del sottosuolo, oppure come «Sette anni, solo sette anni!», che conclude la vicenda di Raskol’nikov e Sonja. Di queste frasi illuminanti, che agiscono come bisturi, se ne trovano a decine in Dostoevskij, almeno una per ogni suo personaggio, ma, oltre a quelle appena citate, ce ne sono due che trovo particolarmente affini al mio caso personale, al mio dramma individuale. La prima è un grido di disperazione di Kirillov – «Per tutta la vita ho voluto che non fossero solo parole» – in cui trovo racchiuso il senso tragico della mia distruttiva ricerca di coerenza, di uniformità tra pensiero e vita; la seconda è una delle frasi più crudeli, beffarde e dolorose che abbia mai letto, scritta da Nasten’ka nella lettera d’addio al sognatore (siamo nelle Notti bianche, naturalmente):

«Oh, se voi foste lui!»

In questa frase terribile trovo racchiusi tutti i miei fallimenti amorosi, e soprattutto il mio fallimento con Lei, che il caso beffardo e crudele mi ha fatto incontrare troppo tardi, quando tutto era già deciso, segnato, condannato, come per Nasten’ka e il sognatore. Mai nella mia vita sono stato lui.

Ilya Glazunov, Nasten’ka se ne va, illustrazione per «Le notti bianche»
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