I taccuini di Tarrou – 207

Qualche giorno fa è accaduta una cosa che mi ha sorpreso negativamente. Volevo andare a trovare Cristina, ancora una volta, l’ultima (Cristina sta diventando per me ciò che per Zeno è la sigaretta), così l’ho chiamata e lei mi ha detto che quel giorno non lavorava, e che non avrebbe lavorato neppure i successivi, a causa del ciclo mestruale. Ho provato una delusione inattesa e profondissima, che mi ha schiacciato, ammutolito, come se Cristina mi avesse detto di essere andata via per sempre. Che mi stia innamorando di lei? Non so. Non credo. Di certo ogni volta che decido di andare a trovare Cristina sento dentro di me un tale desiderio di vederla che è come se dovesse salvarmi la vita, come se fossi Raskol’nikov e mi recassi da Sonja.

Ecco quello che sono, un uomo che non conosce mezze misure, che in ogni singola circostanza, anche la più sciocca e insignificante, s’immerge con tutto se stesso come se si decidesse il suo destino, come se fosse una questione di vita o di morte. Ad ogni modo, non è un bene che nei confronti della mia “relazione” con Cristina provi un tale coinvolgimento. Non per il suo mestiere, ci mancherebbe, non ho mai badato alle etichette, ma perché so con certezza che tra me e lei non potrebbe esserci nient’altro. Io ho visto la sua fierezza, la sua forza, il suo orgoglio, ho visto la sua volontà ferrea di dipendere solo ed esclusivamente da se stessa e la sua resistenza a fidarsi di me, di un cliente. La mia condizione mi ha condannato ai suoi occhi e al suo cuore.

Dopo la telefonata, in cui non ho saputo fare altro che articolare pochi monosillabi, smaltita la delusione, ho inviato a Cristina un messaggio in cui le scrivevo che mi dispiaceva moltissimo di non essere riuscito a vederla questa settimana e che mi mancava. Naturalmente non mi ha risposto. Un’ulteriore conferma della mia condanna.

Egon Schiele, Abbraccio
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