I taccuini di Tarrou – 203

La consapevolezza dell’insensatezza della vita, della vanità di ogni singola azione umana, del destino mortale dell’uomo e del nulla, che mi accompagna da quando sono un adolescente e molte volte ha rallentato il mio cammino, spesso fino ad arrestarlo del tutto, non mi ha mai impedito di desiderare. Una contraddizione stridente e drammatica, per molti aspetti ridicola, che ha aperto ferite profonde e impossibili da rimarginare dentro di me. So perfettamente che la sostanza delle cose non cambia, non può cambiare, eppure non ho mai smesso di desiderare un cambiamento, di sperare in una miracolosa resurrezione. Ho visto i miei desideri e le mie speranze fatte a pezzi, una per una e non ho trovato consolazione nella consapevolezza che se anche si fossero realizzate non sarebbe cambiato niente, la vita non avrebbe acquistato un senso, l’azione umana un peso e via dicendo. Solamente ora, dopo trentatré anni di sconfitte, di fallimenti, di delusioni posso dire, forse, di non avere più desideri, di non sperare più in niente e di aver trovato conforto nella mia spietata, sanguinosa, feroce consapevolezza. Se provo ancora, di tanto in tanto, uno sgradevole, viscido sentimento di insoddisfazione, è soltanto in relazione ai miei cari, a mia madre soprattutto, che mi chiede ancora di vivere quando ormai non potrei fare altro che morire.

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