I taccuini di Tarrou – 192

Come una guida funesta, la consapevolezza mi ha condotto al limite estremo della vita e dell’essere, dove il dolore sgorga puro come da una sorgente, dove la solitudine, la disperazione e il nulla sono realtà consistenti e tangibili, dove tra vivere e morire non c’è alcuna differenza. Tornare indietro non è possibile, tutte le vie sono interrotte, tutte le porte condannate. Non c’è più niente intorno a me, non c’è più niente dentro di me, e in questo buio senza fine anche i ricordi si perdono, svaniscono anzitempo nel nulla. Giunto al fondo dell’esistenza, non ho più un passato, non ho più una storia né un’identità. Tutto scivola via, tutto si disperde in un unico, ininterrotto fluire, in un unico, ininterrotto divenire verso la morte. Se non avessi intorno a me quei pochi legami familiari che mi restano, che con la loro presenza mi ricordano di adempiere le più elementari funzioni biologiche, necessarie alla sopravvivenza, mi sarei lasciato morire di fame, e senza rendermene conto, perché in questo altrove terribile nel quale sono precipitato si dimentica tutto, persino di mangiare. Una sola cosa resta sempre viva e presente, come illuminata da una luce soprannaturale, come alimentata da un fuoco eterno, inestinguibile: il dolore.

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