I taccuini di Tarrou – 190

Ma che ne sanno quelli che ce l’hanno fatta, che hanno un posto nel mondo, che sono amati, che si sono affermati, che hanno un piano e una prospettiva, un orizzonte verso il quale dirigersi sicuri, ma che non è la morte, naturalmente, che ne sanno della vita rovinata, della vita sfigurata, deturpata, violentata dalla consapevolezza dell’assurdità della vita, della necessità della sofferenza, dell’immanenza della morte? Che ne sanno della solitudine, della disperazione, del dolore sordo e immutabile, continuo e insuperabile dovuto al semplice fatto di essere, di esistere? Che ne sanno dello strazio dell’irriconoscimento, dell’esclusione, dell’emarginazione, dell’agonia ininterrotta, dell’incoscienza impossibile? Che ne sanno del dramma di un’esistenza ridotta ai minimi termini, del vuoto senza fine, della percezione fisica del nulla? Che ne sanno dell’insostenibilità di una vita senza amore, senza consolazioni, senza illusioni, senza speranze, senza sogni, senza una prospettiva futura e concentrata tutta, grumo purissimo di dolore, in un eterno presente che sfianca e obbliga a vedere nella morte l’unica via di salvezza? Che ne sanno della fatica di una sopravvivenza forzata, delle ferite mortali dovute a una sensibilità esasperata, della coerenza feroce di una natura estrema costretta a scegliere il niente non potendo avere tutto?

Tutti gli scribacchini contemporanei sono degli usurpatori.

Edvard Munch, Schizzo per L’Urlo
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