I taccuini di Tarrou – 189

Nel pessimista che sopravvive a se stesso, al proprio pensiero, il rischio di fare del pessimismo una «professione», come scrive Michelstaedter a proposito di Schopenhauer, è elevatissimo. Per questo motivo guardo con diffidenza e sospetto quei pensatori negativi morti in vecchiaia e sani di mente, come Cioran per esempio.

Come scrive giustamente Camus, l’unico atteggiamento davvero coerente con la disperazione è il silenzio: nominare la disperazione significa superarla. Scrivendo Al culmine della disperazione il giovane Cioran supera la disperazione, e il testo rappresenta appunto il superamento del dramma, non la sua descrizione.

Concordo con Camus, la penso esattamente come lui e per questo motivo mi pesa scrivere queste riflessioni, per quanto estemporanee, riempire di parole centinaia e centinaia di pagine. Per coerenza dovrei tacere, ma almeno non c’è compiacimento nella mia scrittura, perché l’uomo che scrive per se stesso, privo di un pubblico, che resta al di qua del professionismo, non si compiace di versare inchiostro, anzi, farebbe volentieri a meno di torturarsi inutilmente in questo modo, e accoglierebbe il silenzio come una benedizione. Come forse ho già scritto, nel mio caso la scrittura è un vizio ancora troppo radicato per potervi rinunciare.

Edvard Munch, Disperazione
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