I taccuini di Tarrou – 188

Dagli altri mi separa una lontananza che a volte, lo confesso, ancora mi strugge. Accade quando lascio la mia stanza, i miei libri, i miei taccuini ed esco in strada: la vista di coppie d’innamorati, di genitori giovani a passeggio con i loro bambini, di donne che vedrei bene al mio fianco aggrava la mia solitudine e alimenta il mio rimpianto per ciò che poteva essere, ma non è stato. Allora reagisco alla tristezza ricordando a me stesso che non può essere quella che vedo scorrere davanti ai miei occhi, leggera e inconsapevole, la mia vita, e che non c’è niente di più sciocco che rimpiangere ciò che non può essere. La mia è una vita sotterranea, parallela, invisibile e incomprensibile agli altri, che mi ha condotto in una dimensione esistenziale differente da quella consueta, in un altrove dove c’è spazio, fisicamente, per una sola persona, me stesso, e tornare indietro non è più possibile. Non posso fare altro che rassegnarmi alla mia terribile unicità e alle sue conseguenze estreme: il dolore, il vuoto, la solitudine, la disperazione permanenti, irreversibili. Ho cercato una resurrezione, e attraverso l’unico modo a disposizione di un uomo, l’amore, ma a me non è concesso amare e così non mi resta altra da fare che restare, che resistere nel niente, senza crearmi ulteriori sofferenze.

Troppo ho sognato, troppo ho desiderato, troppo ho voluto, troppo ho amato, in una incontenibile tensione esistenziale dispersa nel nulla e di cui ancora, di tanto in tanto, intravedo dei riflessi, solitari nel deserto della mia interiorità come fuochi fatui.

Edvard Munch, Malinconia
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