I taccuini di Tarrou – 175

La società capitalista, la nostra società, consacrata al dio dell’utile, animata dall’interesse egoistico dei ricchi e dei potenti, è l’ingiustizia elevata a sistema. L’individuo, schiavo e cliente, è ridotto a un mero numero, al suo conto in banca; senza più una coscienza, dunque senza più la libertà, interessa esclusivamente come produttore e consumatore di beni materiali, è ciò che produce, acquista e possiede. L’individuo non è più ciò che è, ma ciò che ha, o che potrebbe avere. E se non può avere niente, se non può comprare, perché escluso dal sistema, non ha alcun valore, è una presenza fastidiosa e inutile di cui sbarazzarsi presto. In un mondo dominato da un’illusione di libertà, libertà artificiale, determinata dalla sostanza, dal possesso del milione, come scrive Dostoevskij nelle Note invernali su impressioni estive («Quando è possibile fare tutto quello che si vuole? Quando si possiede un milione. La libertà dà un milione a testa? No. Che cos’è un uomo senza un milione? Un uomo senza un milione è colui che non fa tutto quello che vuole, bensì è colui del quale si fa tutto quello che si vuole»), solamente la povertà, la mancanza di tutto, la fame garantiscono un’autentica libertà spirituale. Non ho, non possiedo dunque sono. A tal punto la società capitalista è giunta alla perfezione, e solamente l’elemento autodistruttivo che è in essa (perché in ogni cosa è presente un elemento autodistruttivo) potrebbe cambiare le cose.

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