I taccuini di Tarrou – 169

Non mi stupisce e non mi addolora la facilità con la quale le persone, anche quelle affettivamente più vicine, i cosiddetti amici, le donne amate, si dimenticano di me, perché io stesso vorrei dimenticarmi, io stesso vorrei fuggire da me. È faticoso, estenuante essere un uomo, in ogni caso, in qualunque condizione, ma ancor più faticoso è essere un uomo consapevole, che troppo sa, troppo vede e non può disperdersi, neppure per qualche momento, e non può distogliere lo sguardo né chiudere gli occhi, perché mutilato delle palpebre. Un uomo consapevole può forse amare, ma non può essere amato, perché è insostenibile per gli altri la sua presenza, insostenibile per gli altri è il suo sguardo, che, privo di filtri, di mediazioni, di maschere, rivela con violenza la sua sapienza negativa. Semplicemente con lo sguardo l’uomo consapevole mostra a chi gli sta accanto tutto ciò che l’individuo incosciente ha rimosso, fondando proprio sulla rimozione la sua vita. L’uomo consapevole, senza dover neppure aprire bocca, rivela a colui che ha la sfortuna di averlo vicino, l’insignificanza e l’insensatezza della propria persona e della propria vita. Ecco perché alla fine l’uomo consapevole si ritrova sempre solo, abbandonato a se stesso, privo di affetto e di amore. La sua sola presenza mette a disagio, sconcerta e inquieta. È naturale che l’uomo consapevole debba pagare per passare un’ora d’amore: è la sua condanna, il suo destino. Soltanto una donna al culmine della disperazione, altrettanto sola e abbandonata, potrebbe donarsi a lui gratuitamente, e sarebbe soltanto un momento, destinato a esaurirsi in fretta. Per questo motivo l’uomo del sottosuolo, forse il principale personaggio letterario malato di consapevolezza, offende, umilia e scaccia per sempre Lisa, l’unica creatura umana potenzialmente capace di amarlo, di farsi carico del suo dolore e di sostenerlo. L’uomo del sottosuolo ferisce e uccide preventivamente per non morire di dolore poi. Egli sa che non gli è concesso il conforto dell’amore, che la donna (a meno che non si tratti di una creatura miracolosa come Sonja Marmeladova), superato il culmine della disperazione, la solitudine e l’abbandono si allontanerà da lui (come avviene al sognatore delle Notti bianche), e così previene con violenza e rabbia l’insostenibile sofferenza del distacco futuro, martirizzando non solo la povera Lisa, ma anche e soprattutto se stesso. L’uomo del sottosuolo si dismorza, si ripiega innaturalmente su di sé non solo per sfuggire al mondo, quel mondo che lo ha sempre respinto e umiliato, ma per sfuggire a se stesso, al dolore inevitabile causato da una sua relazione con l’altro. La sua natura estrema ed esasperata gli impedisce di accontentarsi di rapporti umani tiepidi, mediocri, sfumati: in ogni uomo egli cerca un fratello, in ogni donna una fede, ma per lui non esistono fratelli né fedi («Io son poi da solo, e loro sono tutti»). Perfettamente consapevole di tutto, in primis del proprio destino di abbandono e solitudine, l’uomo del sottosuolo preferisce fare terra bruciata intorno a sé, seppellirsi vivo e rinunciare a qualunque possibilità di resurrezione, che per lui, del resto, non esiste (Sonja è sempre destinata a qualcun altro).

Gustave Courbet, Autoritratto o Uomo disperato
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