I taccuini di Tarrou – 135

Il giovane Cioran, quello più puro e autentico, autore a ventidue anni di Al culmine della disperazione, scrive che ci sono esperienze alle quali non si può sopravvivere. Esperienze al termine delle quali niente ha più un senso, che svuotano d’interesse ogni gesto quotidiano e ogni aspirazione comune. A causa della mia sensibilità esasperata, di esperienze di questo genere ne ho vissute molte, troppe, ma, tra tutte, quella che mi ha colpito di più, che mi ha ferito più in profondità è stata senza dubbio la tragedia della nascita. Come il giovane Cioran, affetto dall’insonnia, anch’io ho cercato conforto nella scrittura, nella creazione, ma non esiste conforto per l’uomo giunto al fondo di se stesso, del proprio dolore, dell’essere, della vita, giunto alla radice drammatica dell’esistenza. Come Nietzsche, attraverso la scrittura avrei voluto trasformare il mio fango in oro, ma non ho fatto altro che amplificare la sofferenza, darle una voce e una forma, precludendomi così ogni possibilità di una tregua. Io non conosco tregue, non conosco divagazioni, illusioni, consolazioni: sono in uno stato di conflitto permanente con me stesso e con la vita.

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