Gli sconfitti – Le confessioni del giovane Sebastian

«Dunque, caro Sebastian, finalmente siamo arrivati al nocciolo della questione».
«Eh, sì. Credo proprio di sì».
Sdraiato, le energie fisiche messe da parte, il giovane Sebastian osservava il panorama offerto dall’unica finestra, piuttosto ampia, dello studio della Dottoressa. Un cumulo di palazzi scoloriti. E una discreta porzione di cielo annuvolato come consolazione.
«Mi ha detto che scrive, vero?».
«Beh, non è che scrivo, scribacchio, di tanto in tanto».
«In ogni caso sarà più semplice. Ho bisogno che per il prossimo incontro mi porti un elaborato, uno scritto nel quale analizza lei stesso, in prima persona, la situazione».
«Proprio come Zeno, ma.. è proprio necessario?».
«Credo che ci aiuterebbe molto».
«Io… Ah, se proprio devo. D’accordo».

Le confessioni

Sono andato per la prima volta con una prostituta che non ero ancora maggiorenne. Non ricordo con esattezza quanti anni avessi all’epoca. Forse sedici, oppure diciassette. Non so. Era una notte d’estate e mi trovavo in macchina con degli amici. Ci divertivamo a costeggiare la provinciale ornata da decine di professioniste del sesso. La causa di tutto fu una scommessa. Fecero una colletta e racimolarono il denaro necessario alla prestazione chiedendomi se ne avessi il coraggio. Accolsi la sfida. Ne scelsi una a caso, in quel momento una valeva l’altra, l’eccitazione e l’adrenalina annullavano i recettori estetici. Pagai e fui condotto dietro un distributore chiuso, in una zona quasi completamente buia. Fu un semplice rapporto orale, per di più protetto, e non provai alcun rimorso. Tutto fu abbastanza divertente, caratterizzato da uno spirito goliardico, privo della pesantezza di un eventuale giudizio morale e perbenista che, comunque, non mi apparteneva, non mi è mai appartenuto.
Qualche tempo dopo, compiuti i diciotto anni, persi la verginità con una prostituta. Fu un avvenimento squallido, forse il più squallido di tutta la mia vita. Al solo pensiero tremo ancora. Nel ricordare quella circostanza provo ancora oggi, e la proverò per sempre, un’enorme vergogna. Una vergogna opprimente, asfissiante, che mi prende proprio qui, alla gola, come una morsa.
Se nella precedente, diciamo pure iniziatica esperienza, avevo usufruito delle grazie di una donna dell’est, divenni “uomo” godendo, si fa per dire, del corpo d’ebano di un’africana. E questo, mi creda, rende tutto ancor più desolante. Le spiego in poche parole il perché.
Le donne africane, soprattutto nigeriane, si vendono per cifre irrisorie, indegne per qualunque essere umano, e nei loro giovani e vuoti occhi, si riflette in tutta la sua orribile nudità la disperazione. Sono le creature più sfruttate. In una sola parola, sono schiave. Ebbene, io ho perduto la verginità con una di loro, con una schiava. Che schifo…
Ahimè, ricordo quel giorno come se fosse ieri, e non lo dimenticherò mai. Sono cose che non si dimenticano queste, purtroppo. Uno se le trascina dietro fino alla fine, se le porta nella tomba, come il segno di Caino. Era un mattino d’inverno, caratterizzato da una temperatura rigida e una pioggerellina debole, intermittente. Avevo compiuto la maggiore età già da diversi mesi. Chissà perché, chissà per quale fottuto motivo, quella giornata aprii gli occhi con l’intenzione di avere il mio primo rapporto sessuale. Verso le dieci presi l’automobile e mi diressi nel bosco, vero e proprio tempio della prostituzione più bassa e becera, non molto distante dalla mia abitazione immersa nella campagna. Ero solo, i miei genitori si trovavano a lavoro e nessuno, proprio nessuno, avrebbe potuto distogliermi dalla mia disgustosa volontà. La mia coscienza si era dileguata come una vigliacca e io non incontrai alcun tipo di ostacolo. Ancora una volta scelsi la prescelta a caso, probabilmente fu la prima che vidi sul ciglio della strada. E così, tra gli alberi e i cespugli, in piedi, le scarpe immerse nel fango spesso tre dita, consumai in pochi secondi la mia prima esperienza carnale. Tornai a casa a gran velocità, divorato dal disgusto e dal rimorso. Ero sul punto di piangere.
Allora non immaginavo di aver superato il punto di non ritorno. Da quel mattino tanto cruciale e terribile infatti, non ho più smesso di attingere dal florido bacino sessuale della strada. Non saprei quantificare neppure approssimativamente le donne possedute a pagamento fino a oggi. Posso solo immaginare un numero cospicuo. Eccessivamente cospicuo per un giovane di ventiquattro anni. Sono stato molto, ma molto vicino a un’orribile dipendenza. Il fatto che mi sia rivolto a lei, credo voglia dire molto in questo senso.
Ho avuto diverse storie “normali”, al di fuori dell’ambiente della prostituzione, e per quei mesi nei quali ho frequentato ragazze ordinarie, non ho mai fatto uso di grazie in vendita. Eppure, l’accenno alla mia vita sentimentale, amorosa riporta maledettamente in superficie uno dei miei più grandi e miserabili dolori. Ho fatto sesso con decine e decine di donne e a ognuna ho dovuto pagare una tariffa. Già, non ho posseduto che prostitute. Ecco, ecco perché mi sento un verme. Un verme viscido, sporco e puzzolente. Nella mia esistenza non ho mai fatto l’amore. Mai. Una sola volta ci sono andato davvero vicino, senza però riuscirci… Personalmente credo che questo vuoto sessuale e d’amore, un vero e proprio oblio, mi creda, incolmabile in ventiquattro anni di vita, sia la causa principale del mio frequente ricorso alle prestazioni a pagamento. Tutto questo è agghiacciante, atroce, mostruoso, raccapricciante. Se ci penso, e le giuro su quella poveretta di mia madre che ci penso tutti i sacrosanti giorni, vedo la realtà mutare in un incubo spaventoso. Ma di incubo, purtroppo, proprio non si tratta. E la naturale, inevitabile conseguenza di ciò è la paura. Io temo, forse più di ogni altra cosa, di trovarmi in una situazione intima con una donna libera. E più passa il tempo, più invecchio, e più questo timore cresce, a dismisura, assumendo le sembianze di un gigantesco mostro dai connotati confusi e distorti, che mi irride e mi annichilisce, rintanato nelle profondità del mio animo turbato. Ah, quante volte, quante volte, smisuratamente innamorato di una donna ho sperato di ricevere un rifiuto pur di evitare figure meschine! E così è sempre stato. Sempre. In compagnia di una prostituta mi sento un titano, al fianco di una donna normale un verme, rabbrividisco e dubito. È terrificante. Ah, la strada mi ha annientato!
Cara Dottoressa, rileggendo queste sgradevoli confessioni provo innanzitutto imbarazzo. Un imbarazzo che avvilisce, abbatte e che, soprattutto, mi impedisce di rivederla ancora. Sì, il nostro tortuoso e doloroso percorso termina qui. Non può essere altrimenti. Non ci può essere un altro epilogo. Grazie di tutto. Glielo dico con il cuore in mano. Voglio che possegga anche lei una copia di questo documento, in primis perché frutto del suo metodo, in secundis perché credo che possa considerarsi una prova rilevante, determinante del mio caso. Scriverlo non è stato affatto semplice, mi creda. Descrivere quella tremenda mattinata in cui ho gettato la verginità nel cesso, senza pormi troppe domande e, forse, con l’essere in assoluto più disperato che abbia mai incontrato, ha richiesto forze psicofisiche sovrumane che, travolto dalla mestizia e dalla rassegnazione, proprio non credevo di possedere.
Comunque, come sempre direi, ha avuto ragione. Redigere queste “confessioni” mi ha aiutato. Sapevo già di essere un miserabile, ma ora ho questa miseria dinanzi agli occhi. E non posso più fuggirla.
Non posso prometterle che non ricorrerò più alla strada, so che non è questo che lei vuole. Inoltre ho già fatto qualche mese fa questa promessa a me stesso infrangendola dopo solamente qualche settimana. Ma posso dirle una cosa, che prima di venire da lei e vomitare tutte queste parole non sapevo. Ora so. Ora so di cosa ho bisogno. Con tutto me stesso, e più di qualunque altra cosa, io ho bisogno di una donna che mi salvi la vita.
Addio. Il suo depravato paziente,
Sebastian

Il giovane piegò accuratamente i fogli e li sistemò in una busta. Lasciò la sua austera e silenziosa stanza e si diresse allo studio della Dottoressa. Parcheggiò l’automobile il più lontano possibile, per poter fare una passeggiata e riprendere il fiato necessario alla sopravvivenza, perduto dopo un simile sforzo intellettuale e rievocativo.
Camminò per mezzora prima di raggiungere finalmente il palazzo. Accelerando il passo raggiunse la portineria dello stabile e consegnò al custode, che oramai conosceva bene, la busta destinata alla Dottoressa. Sebastian ringraziò cordialmente l’uomo sovrappeso e riprese la stessa via dell’andata in direzione opposta.
La Dottoressa stava osservando proprio in quegli istanti la strada dall’ampia finestra del suo studio. Vide il giovane entrare e uscire subito dopo dal palazzo. Lo seguì andare via fin quando i suoi occhi poterono distinguerlo nel buio, con un’espressione dispiaciuta sul volto maturo eppure ancora piuttosto bello. In cuor suo sentiva che Sebastian non sarebbe tornato mai più. E forse, in fin dei conti, era giusto così.

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Informazioni su Simone Germini

Classe 1989, dopo il diploma di liceo scientifico mi iscrivo alla facoltà di Lettere presso l'Università degli Studi di Roma La Sapienza, dove mi laureo nel luglio del 2015 con la tesi «Figlie della crisi. I personaggi femminili di Heinrich von Kleist», pubblicata sulla rivista «Le rotte - Il porto di Toledo». Sempre presso lo stesso ateneo, nel settembre del 2017, conseguo la laurea magistrale in Filologia Moderna, con la tesi «Con le parole guerra alle parole. Linguaggio e scrittura in Carlo Michelstaedter». Dal 2012 al 2018 sono stato caporedattore del blog «Freemaninrealworld». Insieme con Lorenzo Pica, Raffaele Rogaia e Marco Zindato ho fondato il sito iMalpensanti.it. Sul blog «Bazzecole» i maldestri tentativi di scrittura creativa. Per info e contatti simonegermini@yahoo.com.

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