Gli sconfitti – Il povero scemo

«Ragazzi, voi siete davvero crudeli. Come posso fare una cosa del genere?».
«E dai, Rosa, sarà divertente».
«Lo so, lo immagino, però… Mi chiedete davvero troppo».
«Ricordati quello che ti abbiamo promesso in cambio. Un bel fine settimana di villeggiatura, di assoluto riposo, alle terme. E poi, potrai gustarti una bella cenetta gratuita – perché pagherà certamente lui – nel tuo ristorante preferito».
«Ma siete proprio sicuri che accetterà?».
«Rosa, Rosa, non la vedi la sua faccia? Certo che accetterà».
«Non lo so… Mi fa così tanta pena…».
«Ricorda: terme, riposo, relax. Tutto pagato».
«Ah, e va bene! Devo dirglielo subito?».
«E no, dopodomani. Ma sì, subito, subito!».
«D’accordo, d’accordo. Allora vado, ma non guardatemi, altrimenti scoppierò a ridere, ne sono sicura».
«Eh, eh, eh».
Rosa, concentrandosi con un profondo sospiro, si diresse verso Tommaso.
«Tommaso?».
«Lo so, Rosa, lo so, c’è da rimpiazzare la pasta. Finisco di sistemare queste scatolette di tonno e arrivo».
«No, no, non è questo».
«Ah…».
«A che ora finisci di lavorare oggi?».
«Alle cinque».
«Anch’io. Sai, dovrei parlarti…».
«Va bene».
«Allora vediamoci alle cinque, giù al parcheggio».
«D’accordo. Ma cosa… È successo qualcosa?».
«Dopo ti spiegherò».
Appena svoltato l’angolo, Rosa intravide i suoi due colleghi complici, appostati come avvoltoi in attesa di notizie, e scoppiò all’istante in una fragorosa risata.
«Allora? Com’è andata? Ha abboccato?».
«Sì, il pesce ha abboccato. Certo, quanto siete crudeli, quanto siete cattivi…».
«Eh, eh, eh… che spasso… Come siete rimasti?».
«Alle cinque al parcheggio sotterraneo. Gli proporrò di andare a cena fuori».
«Ottimo. Domani sera, mi raccomando».
«Sì, sì, me lo ricordo, tranquilli. Domani sera “Da Sergio”».

***

Alle cinque in punto Rosa e Tommaso si ritrovarono nel parcheggio sotterraneo del supermercato presso il quale lavoravano entrambi come commessi.
«Senti, Tommaso, devo dirti una cosa importante», iniziò la donna guardando a terra e giocherellando con una ciocca di capelli.
«Guarda, se hai bisogno di cambiare qualche turno, sono a disposizione».
«No, non è questo. È che mi piacerebbe, sì, insomma, mi piacerebbe…».
«Ti piacerebbe?».
«Mi piacerebbe uscire con te una volta, magari andare a cena fuori, insieme. Magari domani sera».
«Ah…».
Tommaso sembrava non aver capito nulla di quello che gli aveva appena detto Rosa, neppure una virgola. Sul suo volto smunto si era formata un’espressione enigmatica, non proprio intelligente, come se la donna avesse parlato in una lingua a lui del tutto ignota.
«Allora, che ne dici?», lo incalzò Rosa.
«Io… non so. Domani poi, proprio domani».
«Che c’è, hai un impegno? O forse non ti piaccio?».
«No, no, macché impegnato, quando mai. E poi tu sei bella, molto bella, come potresti non piacermi?».
«E allora cosa c’è che non va? Perché sei così titubante?».
«Ma niente, niente. È solo che, prima d’ora, mai nessuna donna mi aveva chiesto di uscire, di andare addirittura a cena fuori. Diciamo che non so bene come comportarmi, ecco».
«Beh, c’è sempre una prima volta, no? Se non ci fossero prime volte il mondo a quest’ora sarebbe un deserto. E poi, basta solo che tu dica sì, non devi fare altro. È semplice».
«Sì…».
«Sì?».
«Sì, e dove…».
«C’è un ristorante sul mare davvero carino, “Da Sergio”. È un posto incantevole, e poi si mangia davvero bene. Lo conosci?».
«Eccome, lì ho festeggiato la mia prima comunione».
«Allora facciamo così: ci vediamo domani sera alle nove in punto “Da Sergio”, d’accordo?».
«Va bene. Vuoi… Insomma, vuoi che ti venga a prendere a casa?».
«Oh no, no, non preoccuparti, non ce n’è bisogno».
«Come vuoi. Allora a domani».
«Sì, a domani. Non vedo l’ora».
Rosa salutò Tommaso con un rapido bacio sulla guancia, poi, appena fu in macchina, eruppe in una lunga e sonora risata, sfogando finalmente tutta la sua ilarità. Le era sembrato di avere a che fare con un bambino, un bambino di dieci anni, forse anche meno.
Tommaso restò immobile, come frastornato, per almeno un paio di minuti. Fissava il vuoto con quell’espressione poco furba che troppo spesso caratterizzava il suo volto, e stentava a comprendere del tutto il significato delle parole di Rosa. Nella sua vita modesta e insignificante, l’appuntamento con una donna rappresentava un evento eccezionale, raro come lo schianto di un meteorite sulla terra. All’improvviso sentì una mano afferrargli la spalla. Era Daniele, un suo collega complice di Rosa.
«Ohé, Tommasino, che ci fai qui impalato? Pare che tu abbia visto la… la… Come diavolo si chiama? L’ho vista in un film. La… Ah, non fa niente».
Sentendo qualcuno toccarlo e rivolgergli la parola, Tommaso finalmente rinvenne.
«Stavo per andare a casa, il mio turno è finito».
«Eh, lo so, però sembri scosso. È successo qualcosa?».
«No. Cioè si. Forse…».
«Sì oppure no?».
«Sì…».
«E cosa? Cosa ti ha imbambolato in questo modo?».
«Non so, Rosa…».
«Ah, lo sapevo, lo sapevo! Non dire altro, non dire altro. Ho capito tutto, tutto, caro mio».
«Come?», domandò Tommaso allarmato, sgranando quei suoi occhi tutt’altro intelligenti.
«Non c’è bisogno che tu mi dica niente. Rosa ti ha chiesto di uscire, vero?».
«Sì, ma tu come fai a saperlo?».
«Eh, come lo so… Ti guarda con degli occhi, così teneri, caro il mio Tommasino».
«Io non mi sono mai accorto di nulla».
«Mammamia Tommasì, a volte sei così ingenuo, sembri un ragazzino. Forse è proprio per questo che le piaci tanto, chissà. Sai, secondo me è cotta, addirittura quasi innamorata di te».
«Cosa? Ma non è possibile. Rosa innamorata di uno come me? Bah, è piuttosto inverosimile».
«Inverosimile? Inverosimile? Che razza di parola è inverosimile? Da dove l’hai tirata fuori, eh? E poi cosa significa inverosimile? Non è affatto inverosimile, anzi, è possibilissimo, anzi, è praticamente certo, te lo dico io. Rosa è innamorata di te, fidati. Valle a capire le donne, queste creature tanto magnifiche quanto enigmatiche. Sono sfingi! Altrimenti scusa, per quale dannato motivo lei ti ha invitato a cena fuori? Per prenderti per il culo? Ma per favore, inverosimile…».
«Come… come fai a sapere che Rosa mi ha invitato a cena fuori?».
«Oddio, Tommasì. Mi hai detto che ti ha chiesto di uscire, giusto? E dove fissare il primo appuntamento se non in un ristorante? Credevi forse che ti avrebbe invitato a prendere un gelato, come se foste dei ragazzini? A volte sei così ingenuo, così infantile. Sembra quasi che tu non abbia mai avuto a che fare con una donna, quando sappiamo tutti che in realtà sei un latin lover. Dove andrete a cena?».
«”Da Sergio”. Sai, quel ristorante sul mare».
«Eccellente…».
«Come?».
«No, niente, dicevo solo che è un ristorante ottimo, dove si mangia veramente bene. Ci sei mai stato?».
«Da bambino».
«E, dimmi un po’, ti piace Rosa?».
«Molto, Rosa è molto bella».
«Ah! Allora non sei poi così rimbambito come sembri, eh? È un buongustaio il nostro Tommasino. Vi vedo bene insieme, sai? Del resto, tu hai una certa età…».
«Ventotto anni».
«Sai che ti facevo più vecchio? Comunque Rosa ne ha trenta, pari pari, giusti giusti, compiuti un mesetto fa. Non trovi che per entrambi sia arrivato il momento di fare sul serio? Di sposarsi, metter su famiglia, crescere dei bambini, eh?».
«Sì, mi piacerebbe».
«Ti piacerebbe, eh?».
«Certo che sì».
«Beh, magari Rosa è la donna giusta per te, e tu sei l’uomo giusto per Rosa».
«Magari…».
Daniele diede un’altra pacca sulla spalla a Tommaso, e rientrò nel supermercato ridacchiando. Raccontò subito ad Andrea, l’altro complice, il dialogo avuto con il malcapitato, lanciandosi in una spassosa imitazione di Tommaso, che non faceva altro che chiamare «il povero scemo». I due inoltre lodarono l’abilità di Rosa, sottolineando però come qualunque donna, anche la più insicura, sarebbe riuscita a trarre in inganno quel babbeo.
Rimasto solo, Tommaso si avviò verso casa, a piedi come sempre. Era uno spilungone di quasi due metri, magrissimo, e quando camminava ciondolava come un pendolo. Era buffo veder procedere questo sottile perticone. Sembrava che dovesse spezzarsi da un momento all’altro.

***

I genitori attendevano Tommaso in cucina. La madre, davanti ai fornelli, preparava la cena, mentre il padre, seduto al tavolo, partecipava con fervore ad uno di quei quiz televisivi che precedono i telegiornali della sera. Non faceva altro che borbottare, criticando l’ignoranza dei concorrenti.
«Ma questi la storia non la sanno proprio, eh?», domandava infuriato alla moglie che non gli rispondeva.
«Io sono un ignorante, ma certe conoscenze di base, e che diamine!».
Tommaso si rivolse a loro con il solito tono di voce basso, e questa volta pure imbarazzato. Il padre, per poterlo ascoltare meglio, abbassò il volume del televisore.
«Devo dirvi una cosa. Domani sera non sarò a cena a casa».
«Come mai?», gli chiese incredulo il padre, sorpreso dalla straordinaria notizia.
«Devo… devo andare a cena fuori».
«Con chi?», gli domandò la madre esterrefatta, distogliendo l’attenzione dai fornelli.
«Con… con una mia collega. Si chiama Rosa».
«Un appuntamento!», gridarono all’unisono i due genitori guardandosi l’un l’altro.
«Sì…», balbettò Tommaso scaraventando lo sguardo a terra, verso il vecchio pavimento consumato.
Seguì un lungo silenzio, interrotto dalla madre.
«Avevo già prenotato la torta per domani, ma non fa niente. La tua cena con Rosa è molto, molto più importante».
«Al diavolo! Festeggeremo dopodomani», le fece eco il marito, felice che suo figlio uscisse finalmente con una donna. Il suo orgoglio paterno gongolava, per una buona volta.
In quel momento entrò nella modesta cucina Rita, la sorella minore di Tommaso, più giovane di lui di cinque anni. La madre, eccitatissima, la informò subito dell’incredibile novità.
«Cara Rita, domani sera tuo fratello non sarà con noi, ma andrà a cena fuori con Rosa, una sua collega».
La giovane proruppe in una dissacrante risata che gelò gli altri componenti di questa tranquilla famigliola.
«Perché ridi, eh?», le domandò corrucciato e infastidito il padre, come se la figlia gli avesse mancato di rispetto.
«Deve essere uno scherzo!», esclamò Rita continuando a ridere senza sosta.
«Ma quale scherzo e scherzo…», borbottò indignata la madre.
«E questa fantomatica Rosa è bella?», chiese poi Rita al fratello sogghignando e guardandolo dritto negli occhi.
«Sì, molto bella. Rosa è molto bella», le rispose con grande dignità Tommaso.
«Allora poi! Deve trattarsi proprio di uno scherzo! Ti avverto, fratellone, fai attenzione a non scottarti, perché mi sembri già abbastanza cotto di questa Rosa».
Dopo le spietate e velenose parole di Rita, che non avevano fatto altro che agitare e terrorizzare il povero Tommaso, intervenne la madre a rincuorare e tranquillizzare il figlio.
«Lascia perdere tua sorella, sai com’è fatta. Lei è così, prende in giro sempre tutto. E poi… e poi è solamente invidiosa».
Quella sera Tommaso si addormentò sorridente, cullato da pensieri dolcissimi. Non gli accadeva da anni, forse addirittura da quando era uno spensierato fanciullo.
Qualcosa di molto simile alla felicità, all’autentica felicità lo avvolse, regalandogli otto ore di un sonno beato, ricco di sogni d’oro.

***

Il mattino seguente Tommaso si recò a lavoro di straordinario buonumore. Non faceva altro che sorridere, e a chiunque incontrasse dispensava parole cortesi e affettuose. In testa aveva un solo pensiero: Rosa. Al supermercato la incrociò un paio di volte, ma non riuscì mai a sostenerne lo sguardo. Non faceva altro che chiedersi:
“E se Daniele avesse ragione? Se lei fosse davvero innamorata di me? Sarebbe meraviglioso…”.
Quando il giovane, al pomeriggio, rientrò a casa, trovò sul letto, nella sua piccola camera da letto – ancora ingombra di giocattoli dell’infanzia, custoditi sopra le mensole come preziosi cimeli – un’inattesa sorpresa: un vestito nuovo, di colore blu, blu scuro, una camicia nuova, bianca, ed uno splendido mazzo di fiori. Era stata la madre, durante l’assenza del figlio, a comprargli tutte queste cose.
«Allora, che ne pensi?», gli chiese la donna insinuandosi con discrezione nella stanza.
«Grazie mamma. Mi hai emozionato. Non dovevi».
«Sono i nostri regali, da parte mia, di papà e anche di tua sorella. Avrei voluto comprarti anche una cravatta, e l’avevo trovata, proprio dello stesso colore del vestito, ma ti avrebbe reso troppo formale. Meglio senza».
«Grazie mamma, grazie».
«Basta ringraziarmi. Ne vale la pena. Te lo meriti, e lo merita anche Rosa. Se ti ha invitato a cena fuori, vuol dire che ha capito che tipo di uomo sei, vuol dire che si è spinta al di là dell’apparenza. Si è dimostrata una donna sensibile, differente da tutte le altre, che sono solo della galline vanitose».
«Sì».
«Mi raccomando, sii premuroso con lei. Falle tanti, ma tanti complimenti. Falla sentire una principessa, anzi no, di più, falla sentire una regina, e soprattutto, falla sorridere, in continuazione. Non ridere, solo sorridere. Ah, e paga tu il conto».
«Lo so, mamma, lo so».
«Bene. Vuoi la macchina di papà? Devi passare a prenderla?».
«No mamma, tranquilla, abita lì vicino. E poi la macchina serve a papà, oggi fa il turno di notte e non mi va di togliergliela. Andrò a piedi, non è un problema. Ci sono abituato, lo sai».
«Ma il ristorante è lontano».
«Ma no, solo una quarantina di minuti di cammino. Sono abituato a ben altre distanze».
«D’accordo, se lo dici tu. Su, forza, inizia a prepararti, altrimenti rischi di arrivare in ritardo».
«Va bene. Grazie ancora, mamma».
«Ne vale la pena Tommaso, ne vale la pena. Lo meritate entrambi».
La madre di Tommaso non aveva mai visto Rosa, come non aveva mai visto nessun collega di suo figlio, non la conosceva, ma il semplice fatto che quella donna avesse invitato a cena suo figlio, solitamente scansato con disprezzo e derisione dall’intero genere femminile, la rendeva ai suoi occhi degna della più profonda e incondizionata stima. Lei amava alla follia Tommaso e, di conseguenza, amava alla follia la donna che, con un semplice invito a cena, aveva chiaramente dimostrato a tutti di amarlo, o, perlomeno, di poterlo amare.

***

Era una splendida sera di maggio. La primavera rigogliosa trionfava con la sua graziosa esuberanza e profumava ogni singolo vicolo della città di N. In cielo non c’era traccia di una sola nube e la luna piena risplendeva circondata dalle stelle, innumerevoli e lucentissime.
Tommaso procedeva spedito, si dirigeva verso il ristorante tenendo con enorme attenzione il variopinto mazzo di fiori che, di tanto in tanto, passava da una mano all’altra.
Il giovane era pervaso dalla gioia, una gioia perfetta, ideale, ineffabile, che gli annebbiava la mente e lo confondeva. Si trattava però di una confusione piacevole, ridente, innocua, come quando si è solamente un poco brilli, appena appena.
L’incontenibile emozione, nella quale naufragava con voluttà, gli fece clamorosamente sbagliare strada. Senza neppure accorgersene, allungò il tragitto di molti metri e, per questo motivo, giunse al ristorante con un quarto d’ora di ritardo.
Quando vide Rosa attenderlo fuori dal locale, il cuore prese a battergli con inaudita violenza. Per un attimo Tommaso temette che il nobile organo, impazzito, del tutto fuori controllo, potesse sfondare la cavità toracica, squarciare la pelle ed erompere fuori.
«Wow, che eleganza!», esclamò Rosa vedendo il giovane.
I due si salutarono con un bacio sulla guancia.
Come aveva ripetuto più volte Tommaso, Rosa era davvero molto bella. Aveva trent’anni, ma ne dimostrava molti di meno. La sua pelle straordinariamente levigata poteva trarre in inganno chiunque. Indossava un semplice abito nero, essenziale, privo di fronzoli, che esaltava la sua pregevole finezza, la sua grazia.
«Questi sono per te», balbettò il giovane porgendole il mazzo di fiori che, nel frattempo, aveva abilmente nascosto dietro la schiena.
«Grazie Tommaso, non dovevi. Sono bellissimi», rispose la donna afferrandoli e annusandoli.
«Mai quanto te…», sussurrò Tommaso, sentendosi mancare.
Ascoltando quelle parole così ingenue, dolci e romantiche, Rosa ebbe un sussulto. Fu punta nel profondo dal senso di colpa, e un forte sentimento di compassione, per quel giovane brutto, impacciato, infantile e scemo, si impossessò di lei. Per un istante, un solo, ma significativo istante, ella pensò di rivelare a Tommaso ogni cosa, ma si trattenne.
I due entrarono allora nel ristorante.
Tommaso, da perfetto e navigato gentleman, aiutò Rosa ad accomodarsi porgendole la sedia. Poi, raggiunto il suo posto, fece rovesciare, a causa di un movimento brusco e goffo, una bottiglia d’acqua che, fortunatamente, non finì addosso alla donna. I due furono tuttavia costretti a cambiare tavolo, tra le risatine di scherno dei presenti.
Eccetto quel piccolo incidente, la cena trascorse in un modo tutto sommato piacevole. Tommaso, loquace come mai, raccontò a Rosa molto della sua vita, e ci fu un momento in cui, particolarmente ispirato e su di giri, chiese alla donna se avesse un sogno nel cassetto.
«Sì, Tommaso. Il mio sogno nel cassetto è comune a moltissime delle donne che a trent’anni si ritrovano nella mia stessa situazione, sole e spesso disilluse: creare una bella famiglia, avere dei figli. E tu? Tu ce l’hai un sogno nel cassetto?».
«Da questa sera inizio ad averne uno».
A queste parole, pronunciate da Tommaso con trasporto, Rosa sentì di nuovo quella fastidiosa punturina e fu ancora una volta invasa da uno sconfinato sentimento di compassione. Dovette lottare con tutte le sue forze, e per diversi minuti, per non svelare al giovane che si trattava di uno stupido scherzo, di una farsa meschina.
Tommaso pagò il conto, lasciando persino qualche euro di mancia, e i due si diressero in spiaggia. Dopo qualche metro di passeggiata sulla morbida sabbia, Rosa invitò il giovane a fermarsi. Voleva farla finita al più presto. Non sopportava più di recitare quell’infima pantomima.
Si trovavano in un punto luminoso.
«Tommaso, chiudi gli occhi», sussurrò la donna al giovane.
Nella quiete assoluta della spiaggia deserta, quel flebile sussurro risuonò alle orecchie a sventola di Tommaso nitido come un grido. Il giovane, immobile, serrò gli occhi. Un lieve tremore lo scuoteva dalla testa ai piedi. Dalla bella Rosa si aspettava ora qualcosa. Cosa? Un bacio. Ah, povero animo puro e ingenuo. Tommaso assaporava, gustava ogni singolo secondo con una voluttà sicuramente maggiore di quanto poco prima non avesse assaporato, non avesse gustato il pesce. Quei secondi incredibili, fuori del tempo, erano un cibo di gran lunga più prelibato e saporito, dal valore inestimabile. In quella magnifica attesa, all’improvviso un ricordo riaffiorò prepotente alla memoria di Tommaso: il suo primo e fino ad allora ultimo bacio. All’epoca aveva appena quattordici anni, e, all’ombra di un pino, immerso in un parco, aveva congiunto le sue labbra a quelle di Martina, la ragazzina che amava alla follia da quando era bambino. Tommaso non aveva mai rimosso quel dorato ricordo, anzi, gli tornava in mente spesso, ma mai fulgente e vivido come in quell’occasione in compagnia di Rosa.
Tommaso restò fermo, immobile, con le labbra comicamente protese in avanti, per diversi minuti. Si trovava in una sorta di rapimento mistico, che però fu interrotto da una improvvisa, sguaiata e impertinente risata, che riecheggiò spaventosa nel silenzio assoluto.
Tommaso rinvenne, riaprì gli occhi e incredulo trovò davanti a sé Daniele e Andrea, i due colleghi organizzatori della burla, spezzati in due dalle risate.
Rosa si trovava dietro di loro, ma non rideva. Stringeva con forza il mazzo di fiori, corrugava la fronte e si mordeva le labbra fin quasi a sanguinare. Era furente con se stessa.
“Ma guardalo, che bambino, che scemo… Addirittura sorride, quando invece dovrebbe prendere a calci questi due pagliacci”, pensava tra sé la donna.
Ritrovato il fiato, Daniele e Andrea iniziarono a farfugliare confusamente. Erano commenti cattivi, commenti maligni sul povero Tommaso.
«Hai visto che faccia buffa, da idiota ha fatto quando ci ha visti? Ah, ah, ah!».
«Impagabile! Uno spettacolo davvero impagabile!».
«E la sua boccuccia a forma di cuoricino, eh?».
«Ah, ah, ah! Sì, sì, è vero, aveva proprio la bocca a forma di cuoricino! Che babbeo…».
«Tommasì, certo che con te è come sparare sulla croce rossa… Ma credevi davvero che una donna avvenente come Rosa, che si trascina dietro decine e decine di uomini come se fossero suoi sudditi, pronti a sacrificare la loro vita ad un suo cenno, potesse davvero baciare un essere come te? Un povero scemo come te? Ah, ah, ah!».
«Sì, io lo credevo. E pensare che oggi è anche il mio compleanno. Forse però la mezzanotte è passata ed è già un altro giorno», rispose Tommaso con calma, come se nulla fosse.
Queste ultime parole della vittima raggelarono i due spiritosi compari. Rosa poi, stava quasi per mettersi a piangere a causa del nervoso. Trovò però la forza di gridare.
«I veri scemi, i veri idioti siete voi! Voi! Non valete neppure il suo dito mignolo, bestie! E io, stupida, che mi sono prestata ad una simile crudeltà, non sono meglio di voi!».
La donna, guardando negli occhi Tommaso, con la voce rotta dal dispiacere e dalla commozione, chiese al giovane di perdonarla, poi voltò le spalle e se ne andò via di corsa, abbandonando sulla sabbia il mazzo di fiori.
Daniele e Andrea le si lanciarono dietro. Probabilmente anche loro facevano parte della schiera di sudditi pronti a sacrificare la loro stessa vita ad un suo cenno. Rosa li insultava. Gli ripeteva che il fine settimana alle terme potevano sbatterselo in faccia, che con il povero scemo aveva trascorso una piacevole serata e che non sarebbe mai andata a cena con loro neppure per tutto il denaro di questo mondo, tanto le facevano schifo.
I due compari, impegnati in un’affannosa rincorsa, tentavano di far tornare in sé la donna, colpendosi, offendendosi e accusandosi intanto a vicenda, l’uno infuriato contro l’altro.
Tommaso, rimasto solo, guardava proprio nella loro direzione, ma non li vedeva. Non vedeva niente, sentiva solo il monotono e continuo rumore delle onde che andavano e venivano senza sosta. La felicità delle ore precedenti si era dileguata del tutto, oramai non era che un ricordo.
Dopo qualche minuto di immobilismo, Tommaso raccolse il mazzo di fiori, sciupato, ma non compromesso, e riprese la via di casa. Dentro di sé si rimproverava con severità. Come aveva fatto a non accorgersi che si trattava di uno stupido scherzo? Una donna come Rosa, bellissima e affascinante, come poteva essersi davvero invaghita di un uomo sciocco, remissivo, timido, insicuro, infantile e brutto come lui? Al giovane dispiaceva soprattutto di non aver trascorso, come tutti gli altri anni, il compleanno in compagnia dei suoi genitori. Gli sembrava di aver tradito la madre e il padre.
Molto spesso nella sua vita Tommaso si era sentito ridicolo e fuori di posto. Gli capitava praticamente tutti i giorni, mai però come questa volta.

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Informazioni su Simone Germini

Classe 1989, dopo il diploma di liceo scientifico mi iscrivo alla facoltà di Lettere presso l'Università degli Studi di Roma La Sapienza, dove mi laureo nel luglio del 2015 con la tesi «Figlie della crisi. I personaggi femminili di Heinrich von Kleist», pubblicata sulla rivista «Le rotte - Il porto di Toledo». Sempre presso lo stesso ateneo, nel settembre del 2017, conseguo la laurea magistrale in Filologia Moderna, con la tesi «Con le parole guerra alle parole. Linguaggio e scrittura in Carlo Michelstaedter». Dal 2012 al 2018 sono stato caporedattore del blog «Freemaninrealworld». Insieme con Lorenzo Pica, Raffaele Rogaia e Marco Zindato ho fondato il sito iMalpensanti.it. Sul blog «Bazzecole» i maldestri tentativi di scrittura creativa. Per info e contatti simonegermini@yahoo.com.

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