Gli sconfitti – Il fallimento

Tutti i docenti del liceo scientifico Innocenzo XII erano riuniti, insieme a molti dei loro studenti, nell’aula magna dell’istituto, per l’ultimo saluto al Professor Mattei, vera e propria istituzione di quella scuola, che lasciava dopo ben quarant’anni di insegnamento per andare finalmente in pensione.
All’arrivo del vecchio Mattei, un ometto piccolo, magro e canuto dai baffi folti, un lungo e sentito applauso invase l’ampia e gremita sala, interrompendo il fitto brusio. Il Professore ringraziò con un inchino appena accennato, afferrò il microfono che gli porgeva con premura il preside, e iniziò il suo discorso di commiato.
«Innanzitutto ci tengo a precisare che con queste parole d’addio, le quali forse sorprenderanno molti di voi, non intendo certo impartire una lezione. Lo sapete, non amo queste situazioni mondane, ma visto che avete insistito tanto, organizzando addirittura un ricco banchetto, coglierò l’occasione per condividere con tutti voi, esimi colleghi e baldi studenti, alcune riflessioni maturate in questi ultimi tempi, e frutto di un inevitabile bilancio esistenziale piuttosto complicato e doloroso, lo confesso, come del resto sono complicati e dolorosi i bilanci esistenziali di ogni uomo, anche quello in apparenza più appagato e soddisfatto di sé. Durante questi resoconti esce sempre fuori qualche fastidiosa bega che punge come uno spillo acuminato. Comunque, potete stare tranquilli, tenterò di sottrarvi il minor tempo possibile, arrivando subito, come si suol dire, al nocciolo della questione, senza troppi giri di parole».
Il Professor Mattei non leggeva un discorso scritto, non era nel suo stile. Aveva ogni parola ben impressa nella mente. Come di consueto, come quando si trovava in classe e insegnava agli studenti, parlava e camminava, gettando sguardi penetranti e significativi a chiunque gli capitasse davanti. Per quarant’anni aveva insegnato, o meglio, raccontato, come amava dire lui stesso, letteratura, storia e filosofia. Per quarant’anni, con i suoi modi sempre pacati, concilianti e comprensivi, si era guadagnato la stima e la fiducia di tutti i colleghi e di tutti i giovani studenti che si erano avvicendati nell’Innocenzo XII. Una decina d’anni prima era stato persino in corsa per l’ambito e prestigioso premio di Miglior insegnante del mondo, non ottenendo tuttavia la vittoria. Di quel premio non gli era mai importato nulla, anzi, i molti e improvvisi riflettori puntati addosso lo avevano infastidito, lo avevano indispettito non poco. Mattei non era che un semplice Professore di provincia, non sopportava la ribalta, il clamore. Del resto, la modestia era uno dei tratti caratteristici della sua persona.
Dopo qualche secondo di silenzio il vecchio Professor Mattei riprese la parola. Aveva una voce tutt’altro che possente, ma penetrante, che riusciva a incantare l’interlocutore.
«Miei cari colleghi, miei cari ragazzi, io ho fallito. Sì, ho fallito, senza mezzi termini. L’ho capito proprio in questi giorni, ripercorrendo idealmente la mia carriera. Quando, ben quaranta anni fa, più qualche mese, decisi di fare l’insegnante, decisi di adempiere, con tutto me stesso, una delle missioni più nobili e importanti all’interno di una società civile: l’insegnamento, appunto. Ma cosa significa insegnare? Insegnare significa educare. Non solo, insegnare significa anche, e soprattutto, liberare. In tutta la mia modestia, in tutta la mia insignificanza, non ho avuto che un solo scopo: rendere i miei studenti degli uomini liberi. Tutti, dal primo all’ultimo, senza distinzioni di classe, mostrandogli, anzi, raccontandogli – perché in fondo noi insegnanti non siamo altro che dei narratori -, raccontandogli le bellezze della letteratura e della filosofia, e le scellerataggini della storia. In questi lunghi e faticosi quarant’anni ho sempre seguito un determinato progetto pedagogico. Convinto che fosse innanzitutto la scuola, insieme all’ambiente familiare ovviamente, il luogo di formazione essenziale di un individuo, ho tentato di formare giovani uomini liberi. Liberi dall’ignoranza, liberi dal pregiudizio e liberi dalla superstizione. Liberi da ogni convenzione, da ogni cliché e da ogni potere precostituito. L’istruzione in un uomo è tutto, senza istruzione non si è individui autonomamente pensanti, non si ha un’anima, non si ha una propria interiorità né una propria identità, si è solamente numeri, numeri vuoti e insignificanti, merci di governi approfittatori. Cari colleghi, a differenza di molti di voi, lo sapete bene, non ho mai fatto politica in classe. In primis perché sono sempre stato, e lo sarò fino alla fine, oramai imminente, un antipolitico convinto. In secundis perché ho sempre creduto che spettasse allo studente, senza subire influenze esterne, scegliere il proprio ideale politico al termine di un importante e approfondito percorso di conoscenza, di comprensione dei pensieri e dei fatti, e dunque di crescita. E da questo progetto pedagogico ben definito non mi sono mai discostato, forse, con il senno di poi, sbagliando. Comunque, ho consacrato l’intera mia esistenza a questo progetto, a questa vera e propria missione di educazione, ergo di liberazione, rinunciando a molto, persino all’amore – perdonate questo accenno di romantico e smielato sentimentalismo, frutto dell’inesorabile demenza senile. Ora che sono oramai in pensione, getto uno sguardo al passato, poi osservo il presente e, ahimè, a malincuore devo proprio constatare di aver fallito. Quanta ignoranza, quanta bassezza, quanta miseria, quanta schiavitù ovunque. Basta mettere il naso fuori dalla finestra, anche per pochi secondi, e osservare una qualunque strada per rendersene dolorosamente conto. Rispetto a quarant’anni fa nulla, ma proprio nulla è cambiato. Non voglio dire che tutto sia peggiorato, questo no, ma di certo nulla è migliorato. Miei cari, ho tentato, ed è molto, ma ho fallito. Quanti miei studenti non sono diventati altro che numeri, numeri insignificanti, quando io invece volli renderli liberi».
Il discorso d’addio del Professor Mattei raggelò i presenti. Un invisibile alone di amarezza e imbarazzo ricopriva l’aula magna dell’Istituto Innocenzo XII, sospeso come una nebbia sulla testa degli ascoltatori ammutoliti, sorpresi. Nessuno infatti si sarebbe aspettato parole così spietate e dure. Doveva essere una festa, si era invece trasformata in una cerimonia funebre per il clima pesante che le parole del Professor Mattei avevano creato nella sala gremita. Interdetti i docenti si lanciavano occhiate preoccupate. Colpiti gli studenti guardavano con ostinazione il pavimento bianco, temendo di incontrare lo sguardo dell’oratore.
Il Professor Mattei, camminando ininterrottamente avanti e indietro, dopo qualche secondo di pausa necessario a riprendere il fiato, concluse il proprio occiduo intervento.
«Vi chiedo scusa se mi sono dilungato più del dovuto, se vi ho annoiato, se vi ho persino angosciato, ma ho concluso, davvero. Mi rivolgo a voi, miei cari e preparati colleghi, combattete l’ignoranza con tutti voi stessi, sporcatevi le mani, se necessario immergetevi nel fango, e non lasciatevi abbattere dallo sconforto, dalla rassegnazione. Tentate. Non dimenticate il vostro fondamentale ruolo nella società civile, non dimenticate la vostra missione, e rifuggite come la peste quella velenosa pretenziosità cui talvolta può condurre la conoscenza. Ma la mia ultima parola è per voi, miei cari e giovani studenti. Liberatevi. Spezzate le catene con le quali questo tempo infame tenta di immobilizzarvi, tenta di sottomettervi. Siate individui, siate uomini, non numeri. La vita di per sé è meschina, ma vi offre una possibilità, e non ne avrete altre. Dovete avere un obiettivo: rendere la vostra esistenza il più possibilmente dignitosa».
Detto ciò il Professor Mattei si arrestò, posò il microfono sulla grande cattedra e un lungo e fragoroso applauso scosse l’aula magna. L’amarezza e l’imbarazzo avevano lasciato spazio alla commozione. Anche gli studenti più scapestrati avevano recepito il profondo e quasi disperato messaggio, e tutti i presenti, in piedi, rendevano il giusto tributo a quel vecchio, piccolo, grinzoso e gobbo insegnante che aveva consacrato l’intera sua vita all’istruzione e all’educazione.
Sul volto scavato del Professor Mattei si dipinse un’espressione di gratitudine e melanconia, anzi no, più che di melanconia, di mestizia. Tutto era finito per lui. Raccolse i calorosi saluti dei colleghi e lasciò presto l’istituto, senza partecipare al ricco buffet previsto dopo la cerimonia d’addio. Varcata la soglia del cancello della scuola, il vecchio insegnante, solo, lanciò un ultimo sguardo al liceo, a quell’edificio d’un bianco sporco un tempo manicomio. Poi si diresse verso casa, a piedi, camminando lentamente, con nel cuore quella devastante sensazione di fallimento, di sconfitta che lo tormentava da giorni e che, lo sapeva fin troppo bene, non lo avrebbe più abbandonato fino alla morte.

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Informazioni su Simone Germini

Classe 1989, dopo il diploma di liceo scientifico mi iscrivo alla facoltà di Lettere presso l'Università degli Studi di Roma La Sapienza, dove mi laureo nel luglio del 2015 con la tesi «Figlie della crisi. I personaggi femminili di Heinrich von Kleist», pubblicata sulla rivista «Le rotte - Il porto di Toledo». Sempre presso lo stesso ateneo, nel settembre del 2017, conseguo la laurea magistrale in Filologia Moderna, con la tesi «Con le parole guerra alle parole. Linguaggio e scrittura in Carlo Michelstaedter». Dal 2012 al 2018 sono stato caporedattore del blog «Freemaninrealworld». Insieme con Lorenzo Pica, Raffaele Rogaia e Marco Zindato ho fondato il sito iMalpensanti.it. Sul blog «Bazzecole» i maldestri tentativi di scrittura creativa. Per info e contatti simonegermini@yahoo.com.

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