– Salve.
– Salve.
– Posso?
– Prego. Si accomodi pure.
– È sicuro che non la disturbo?
– Le sembro un uomo che non vuole essere disturbato?
– Non saprei…
– Mi perdoni eh, ma se lei non capisce neppure se io sia un uomo che vuole o non vuole essere disturbato, allora perché mi ha rivolto la parola? Potrebbe avermi disturbato davvero.
– Le chiedo scusa. Non volevo…
– Ma no, ma no, si figuri. Senta, glielo dico chiaramente: lei non mi disturba, anzi. Allora, come va?
– Come vuole che vada… Va bene. Va sempre dannatamente bene. Lei?
– Che razza di domanda… Diciamo che non posso lamentarmi.
– Bella giornata, non trova?
– Dipende dai punti di vista.
– Dai punti di vista?
– Sì, da punti di vista. A lei piacciono le giornate in cui risplende alto il sole e in cielo non c’è neppure una nuvola?
– Sì. A lei no?
– No, per niente.
– Davvero?
– Sì. Per me una bella giornata deve necessariamente essere caratterizzata dalla pioggia. Dal cielo nero come la pece, coperto fitto fitto di nubi piene, gravide di lacrime. No, per me non è proprio una bella giornata questa.
– Le piacciono le nuvole?
– Oh sì. Da quando, giovanissimo, praticamente bambino, lessi Lo straniero di Baudelaire: «Amo le nuvole… Le nuvole che vanno… Laggiù, laggiù… Le meravigliose nuvole…». Le nuvole sono tra le cose che più adoro in questo povero mondo.
– È vero. Sono belle le nuvole.
– Però a lei piace di più il sole e il cielo completamente terso, pulito, così azzurro da accecare chi lo osserva.
– Sì, terso…
– Ah, beato lei.
– Perché, scusi?
– Perché… perché… Semplicemente perché le giornate senza pioggia e senza nuvole sono sempre di più rispetto alle giornate piovose e stracolme di nuvole immense.
– Lei dice?
– Credo di sì.
– Potrebbe anche solamente trattarsi di una sua sensazione.
– Potrebbe. Dunque lei oggi è felice.
– Certo. Come lei è felice quando si sveglia e scopre che piove.
– No, no, no e ancora no! Si sbaglia. Io non sono mai felice.
– Neppure quando per lei è una bella giornata?
– No, neppure quando per me è una bella giornata.
– Ma non mi dica. Non ci credo. Non posso crederci. Tutti sono felici, anche se raramente. Ci pensi e sia sincero. Lei, quando è felice? Forza, su. Risponda francamente.
– Glielo ripeto. Io non sono mai felice.
– Lei mente, men-te.
– Devo gridarlo affinché mi creda? Devo svegliare tutto il vicinato?
– Oh no, no… Non me lo perdonerebbero. Comunque, se non vuole confessarlo, faccia pure, ma io so che la sua è una bugia, e per di più goffa.
– E lei, invece, in quali occasioni prova gioia? Eccetto quando brilla il sole e l’azzurro del cielo è tanto limpido da accecare.
– Beh, in molte occasioni.
– Ah… Addirittura in molte occasioni… Ad esempio?
– Vediamo… Ad esempio quando, passeggiando per la campagna, scopro del tutto casualmente un cespuglio di more, oppure un nido di merli.
– Uhm… Pensi che io, al contrario, quando vedo cose del genere provo un dolore indicibile, insopportabile.
– Eppure sono cose splendide, bellissime, no?
– Non lo metto in dubbio. La natura è straordinaria, meravigliosa, però…
– Però?
– Però mi addolora.
– Come è possibile? Lei stesso è natura, tutto è natura. Significa forse che tutto la addolora?
– Esattamente. Per questo motivo le ho detto che non sono mai felice.
– Santo cielo… Ma… Come può essere?
– Bisognerebbe entrare nel particolare di un discorso molto, ma molto complesso, mi creda. E poi non credo di essere capace di descrivere a parole un simile concetto.
– Capisco.
– Ma posso dirle questo. Vede, quando le ho detto che la natura mi addolora… Ma no, lasciamo stare che è meglio.
– Non riesce a spiegarsi?
– Non come vorrei. Aspetti. Ci riprovo.
– Ci provi con parole povere, come se si rivolgesse a un bambino.
– Sì. Dunque, la natura è così straordinaria, magnifica, ma al tempo stesso così crudele, soprattutto nei confronti di se stessa…
– Ah!
– Mi comprende? Eh? Mi comprende?
– In verità no… Ma cosa importa?
– Non importa, ha ragione.
– Cosa vuole farci… Non importa niente a nessuno. Non importa niente a nessuno. Mai.