Fottuto sabato sera

Un uomo solo è sempre in cattiva compagnia
Paul Valéry
 

Non è neanche mezzanotte, quando l’unico amico disponibile a farmi compagnia in questo ennesimo sabato sera, se ne va, sfinito da un forte raffreddore, e da un intenso giorno di furia sessuale, che non posso comprendere. Resto solo, ancora una volta, ma è davvero troppo, troppo presto per tornare a casa. Le finanze latitano, e non ho neppure 30 euro da investire nell’affitto di un’avvenente Venere dell’Est. Decido allora di fare una passeggiata, qualcosa, forse, accadrà.

Cammino più lentamente del solito, sotto la pioggia novembrina, anch’essa fiacca e provata come i miei passi strascicanti. Passo dinanzi la vetrina di un’agenzia di viaggi, ed un piccolo schermo attira la mia attenzione. Su di esso è proiettata una sola, idilliaca immagine: una spiaggia esotica dalla sabbia bianchissima, il mare trasparente e le palme alte. Il paesaggio è perfetto, tanto perfetto da risultare nitidamente per quel che davvero è: un’illusione e nulla più. A denti stretti sussurro un incomprensibile “ma per favore!”
Continuo a camminare. Nel frattempo, quelle poche gocce di pioggia cadute finora, la smettono di fiondarsi in terra, suicide, dalle nubi fitte. Finalmente mi siedo, sul comodo e gelido scalino di marmo di un negozio di culle, carrozzine e quant’altro, all’esterno di un locale in cui risuona musica live. Ascolto, e mi rilasso. Ben presto però il mio spazio vitale è prima minacciato, poi addirittura invaso, da un gruppo di giovani “alternativi” dalle personalità confuse. Uno di essi tiene in mano una bottiglia aperta di Cannonau di Sardegna. Per fortuna l’assedio non dura più di qualche lento istante. Posso tornare a respirare.
Due, tre, forse quattro volte attraversa il mio campo visivo una mazza da baseball rosa, oscillata qua e là da un riccioluto individuo dall’espressione del volto non molto intelligente.
La musica riecheggia forte, le parole, trasportate da una voce attempata di mezza età, mi giungono alle orecchie tutte con il ritmo, compassato e grave, di lamentose nenie, di certo più adatte ad una cerimonia funebre, che ad una notte, almeno in teoria, dedicata al divertimento. Mi dico che, forse, un funerale non è poi così tanto differente da un sabato sera, in particolare, da questo sabato sera.
Mi giro una sigaretta, ed avido la fumo. Un grido, in lontananza, da una macchina in corsa: “voglio morire!” Questa stupida imprecazione urlata ai quattro venti, mi ricorda che sono proprio le grida ciò contro cui combattono le mie parole, sussurri.
Terminato l’ennesimo pezzo, nel locale si diffondono sparuti applausi. Non più di cinque, sei mani urtano contro se stesse. A me non spetteranno mai neanche queste.
Abbasso lo sguardo verso l’asfalto irregolare, e vedo un punto nero di discrete dimensioni muoversi ai miei piedi. Toh! Uno scarafaggio ben nutrito, la più geniale creazione di Kafka. Scattoso cerca riparo sotto le suole delle mie scarpe bucate, troppo leggere per il freddo autunnale. I miei genitori me lo ripetono in continuazione. Chiamo la piccola creaturina Joe, ispirato dalla canzone di Jimi Hendrix, proprio in questo momento eseguita dalla sconosciuta band. Tuttavia il mio amico Joe non ha in mano una pistola, e non è legato ad una signora da uccidere perché lo ha tradito con un altro. Il destino mi aveva assegnato il ruolo di boia, ma anche il destino, a volte, sbaglia.
Eccetto quell’invasivo gruppo di giovani e quell’individuo idiota con la mazza rosa,  non è passato più nessuno per questa via. Neppure una donna. Neppure una bella donna da affiancare, e alla quale sussurrare: ” dovunque tu stia andando, baby, foss’anche l’inferno, mi piacerebbe accompagnarti.”
Il concerto è al termine, non so se esserne contento oppure no. Ultimo assolo di chitarra e di batteria. Contenuto tripudio finale. Getto lo sguardo a terra in cerca di Joe. Non c’è più. Pazzesco, è fuggito e non me ne sono accorto. Probabilmente anche lui è tornato a casa, nel tombino distante pochi passi da me.
L’addio di Joe mi sconforta. Ho perduto per sempre l’ennesimo animale domestico. Amareggiato fumo l’ultima sigaretta. Il sapore del tabacco ora mi fa quasi schifo, fra l’altro la temperatura si è abbassata di qualche grado. Meglio alzarsi ed avviarsi alla macchina. Percorro il tragitto a passi svelti, questa serata mi ha davvero disgustato. Non è accaduto niente, o meglio, niente di rilevante. I weekend in provincia sono terribili sempre, figuratevi quando non si ha che se stessi accanto.

Parcheggio l’auto sotto la tettoia di legno. Prima di entrare in casa getto uno sguardo al cielo. Nuvole, nuvole, nuvole e ancora nuvole. Non una sola stella, né l’ombra della luna. In compenso, una deliziosa e velata linea rossastra traccia l’orizzonte. Un brivido mi scuote la schiena. Cristo quanta umidità…
Apro il portone ed entro in casa. Il caldo mi avvolge ed i muscoli si distendono. Saluto mio padre, sprofondato nel divano, e mi dirigo in camera. Mi infilo il pigiama e mi getto sotto le coperte. Quale indescrivibile sollievo…
Prima di prendere sonno alterno sbadigli a riflessioni. Penso alla serata che è stata e provo una sensazione di squallore. Le palpebre finalmente iniziano a chiudersi, e la mente perde lucidità. Biascico un’ultima, mesta frase, tra me e me: “Fottuto sabato sera…”

Nota dell’autore Caro Lettore, che chissà da quale recondita ed obliosa profondità di te stesso, hai trovato il coraggio di leggere questo racconto, sappi che quel che ho scritto è tutto, ma proprio tutto vero.
E credo che il misero, avvelenato e disgustoso fascino di questa pagina sia proprio qui, nel fatto che si tratti di una cronaca, una cronaca veritiera, e di nient’altro.

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Informazioni su Simone Germini

Classe 1989, dopo il diploma di liceo scientifico mi iscrivo alla facoltà di Lettere presso l'Università degli Studi di Roma La Sapienza, dove mi laureo nel luglio del 2015 con la tesi «Figlie della crisi. I personaggi femminili di Heinrich von Kleist», pubblicata sulla rivista «Le rotte - Il porto di Toledo». Sempre presso lo stesso ateneo, nel settembre del 2017, conseguo la laurea magistrale in Filologia Moderna, con la tesi «Con le parole guerra alle parole. Linguaggio e scrittura in Carlo Michelstaedter». Dal 2012 al 2018 sono stato caporedattore del blog «Freemaninrealworld». Insieme con Lorenzo Pica, Raffaele Rogaia e Marco Zindato ho fondato il sito iMalpensanti.it. Sul blog «Bazzecole» i maldestri tentativi di scrittura creativa. Per info e contatti simonegermini@yahoo.com.

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